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La politica espansiva intrapresa dalla FED potrebbe subire uno stop a causa del possibile effetto delle politiche del neo-eletto presidente degli Usa Donald Trump sull’inflazione. È quanto emerge dai verbali relativi all’ultimo meeting – terminato il 18 dicembre – del Federal Open Market Committee (Fomc), il braccio operativo della Federal Reserve responsabile dei tassi Usa. In quell’occasione, la Banca centrale statunitense ha deciso – con 11 voti a favore e uno contrario – di tagliare i tassi d’interesse di 25 punti base al 4,25%-4,50%. Si è trattato del terzo taglio di fila, il secondo di 25 punti base dopo la riduzione di mezzo punto percentuale di settembre.
Che cosa è emerso dalla minute
Da quello che emerge dalla minute, i banchieri della Federal Reserve hanno espresso preoccupazione per l’impatto delle politiche di Trump sull’inflazione, segnalando una possibile frenata nel taglio del costo del denaro nel 2025 a causa di questa incertezza.
Senza citare direttamente Trump, i banchieri hanno puntato il dito verso quelli che sono i possibili rischi che incombono sul costo del denari, in particolare immigrazione e commercio.
Ricordiamo che i tassi d’interesse erano stati abbassati allo 0-0,25%, nel marzo del 2020, per combattere gli effetti negativi della pandemia di coronavirus e poi progressivamente alzati. Dal marzo 2022, si erano susseguiti 11 rialzi dei tassi in 16 mesi, fino a raggiungere il 5,25%-5,50% – il livello più alto dal 2001.
Il rischio Trump
Dalla vittoria elettorale di novembre, Trump ha segnalato l’intenzione di introdurre tariffe aggressive e punitive nei confronti di Cina, Messico e Canada e degli altri partner commerciali degli Stati Uniti. Tuttavia, l’ampiezza delle azioni di Trump e il modo in cui saranno specificamente dirette creano una fascia di ambiguità su ciò che ci aspetta, che secondo i membri del Federal Open Market Committee richiederebbe cautela.
“Quasi tutti i partecipanti hanno ritenuto che i rischi al rialzo per le prospettive di inflazione siano aumentati”, si legge nei verbali. “Per motivare questo giudizio, i partecipanti hanno citato le recenti letture sull’inflazione, più forti del previsto, e i probabili effetti di potenziali cambiamenti nelle politiche commerciali e di immigrazione”.
I verbali hanno indicato che il ritmo dei tagli futuri sarà probabilmente più lento.
“Nel discutere le prospettive della politica monetaria, i partecipanti hanno indicato che il Comitato si trova al punto o quasi in cui sarebbe opportuno rallentare il ritmo dell’allentamento della politica”, si legge nel documento.
Inoltre, molti partecipanti hanno suggerito che una serie di fattori sottolinea la necessità di un approccio attento alle decisioni di politica monetaria nei prossimi trimestri”. Tali condizioni includono letture dell’inflazione che rimangono al di sopra dell’obiettivo annuale del 2% della Fed, un solido ritmo di spesa dei consumatori, un mercato del lavoro stabile e un’attività economica altrimenti solida in cui il prodotto interno lordo è cresciuto a un ritmo superiore al trend fino al 2024.
Dove andrà l’inflazione
I funzionari hanno sottolineato che le future mosse politiche dipenderanno dall’andamento dei dati macro e non sono programmate. L’indicatore preferito dalla Fed ha mostrato un’inflazione di fondo del 2,4% a novembre, e del 2,8% se si includono i prezzi di cibo ed energia, rispetto all’anno precedente contro un obiettivo del 2%.
Nei documenti distribuiti durante la riunione, la maggior parte dei funzionari ha indicato che, pur vedendo l’inflazione gravitare verso il 2%, non prevede che ciò accada prima del 2027 e prevede che i rischi a breve termine siano al rialzo.
L’opinione degli analisti
Secondo Gabriel Debach, market analyst di eToro, i verbali pubblicati ieri del FOMC rivelano un quadro più complesso e incerto rispetto a quanto comunicato nella conferenza stampa. Termini come “incertezza”, “rischi al rialzo per l’inflazione” e “stallo del processo di disinflazione” indicano un approccio prudente e sottolineano preoccupazioni che potrebbero non essere state pienamente assorbite dal mercato.
Esaminando i verbali del FOMC rispetto alla conferenza stampa di Powell – sottolinea l’esperto – emergono alcune sfumature e preoccupazioni:
- la parola “incertezza” appare più volte nei verbali per sottolineare le difficoltà nel fare previsioni, con i policymaker che stanno affrontando un quadro più complesso e imprevedibile rispetto a quanto comunicato pubblicamente;
- nei verbali, emerge una maggiore attenzione ai potenziali impatti inflazionistici di cambiamenti nelle politiche commerciali e alle vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali. Questi rischi, definiti “upside risks” per l’inflazione, sono visti come elementi che potrebbero prolungare il processo di disinflazione, ma sono stati appena accennati da Powell. Alcuni membri hanno infatti percepito un temporaneo “stallo” nel processo di disinflazione, una valutazione non enfatizzata durante la conferenza stampa;
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le differenze di opinione all’interno del comitato sono emerse chiaramente. Alcuni membri hanno preferito mantenere i tassi invariati, segnalando preoccupazioni per un’inflazione più persistente del previsto. Questo dissenso non è stato enfatizzato nella conferenza stampa, ma riflette un dibattito interno significativo;
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i verbali riconoscono che la crescita dei salari nominali, pur rallentando, rimane leggermente superiore ai livelli compatibili con un’inflazione al 2%. Questo dettaglio sottolinea che le pressioni inflazionistiche non sono del tutto svanite e che il mercato del lavoro continua a rappresentare una sfida.