Gli Usa lasciano l’accordo internazionale sul nucleare iraniano stretto nel 2015 e il petrolio torna a prendere quota. In giornata si era interrotto il rally del petrolio con il Wti, scadenza giungo, che scendeva del 3,76% in area $68 dopo aver superato la soglia dei 70 dollari al barile a 70,47 (+1,1%), portandosi ai massimi da novembre 2014. La scorsa settimana il contratto aveva guadagnato il 2,4% sulla scia delle tensioni geopolitiche, e in particolare la situazione incandescente tra Usa e Iran sul programma nucleare di quest’ultimo, alimentata anche dalla linea dura di Israele. Prima delle ultime indiscrezioni stampa della CNN, i trader giudicavano come probabile il ritiro degli Usa di Donald Trump dallo storico accordo con l’Iran sul suo programma di arricchimento dell’uranio e quindi i prezzi dell’oro nero scontavano questi timori.
Il presidente Usa ha annunciato alle 20 ora italiane che gli Usa si ritirano dall’intesa “inaccettabile e ingannevole” che aveva stretto dal suo precedessore Barack Obama sul programma nucleare della Repubblica Islamica. Tuttavia, ci potrebbero volere mesi prima che le sanzioni entrino in vigore e sembra che Trump sia intenzione a concedere un periodo di grazia ai fautori dell’intesa, tra cui alcuni alleati come la Francia e la Germania, per poter permettere loro di aprire un varco negoziale.
Statement on the Iran Nuclear Deal: https://t.co/O3SpryCKkc
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 8 maggio 2018
Trump sembra che abbia informato il presidente francese Emmanuel Macron delle sue intenzioni prima di renderle pubbliche, stando a quanto riportato da una fonte dal New York Times. “Gli Stati Uniti si preparano a tornare a imporre tutte le sanzioni che erano state ritirate nell’ambito dell’accordo sul nucleare, e a imporre nuove misure economiche punitive”. Dall’Eliseo hanno smentito le indiscrezioni, ma le informazioni sono bastate a far crescere la suspense su quello che dirà Trump e il contratto WTI si è riportato in area 69 dollari al barile in concomitanza con la chiusura dei mercati europei.
Secondo la più grande banca di Dubai, Emirates NBD, i mercati scommettevano fino a stamattina – prima della pubblicazione delle indiscrezioni della CNN – sul peggiore degli scenari, ovvero sul ritiro degli Stati Uniti dall’accordo e al contempo sulle nuove sanzioni contro Teheran. Tim Fox, capo della ricerca e capo economista della banca, ha spiegato alla CNBC che eventuali le sanzioni statunitensi sull’Iran potrebbero ridurre le forniture globali di petrolio di 800.000 barili al giorno.
Dopo le dichiarazioni del ministro degli esteri, Mohammad Javad Zarif, che venerdí scorso ha ribadito che l’accordo con gli Stati Uniti non si tocca, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha detto, parlando alla nazione in diretta tv, che se Trump deciderà di porre fine all’accordo nucleare con Teheran, “gli Stati Uniti se ne pentiranno”.
“Abbiamo piani per resistere a qualsiasi decisione di Trump sull’accordo nucleare”, ha detto Rouhani, “se gli Stati Uniti lasciano l’accordo sul nucleare, vedrete molto presto che se ne pentiranno come mai prima nella storia”, ha detto il presidente della Repubblica islamica.
Le dichiarazioni del presidente americano durante i suoi 15 mesi di mandato secondo cui l’accordo è il peggiore mai firmato non sono logiche, ha proseguito.
Ad infiammare i prezzi del petrolio nelle ultime sedute ha contribuito anche la situazione di profonda crisi economica in Venezuela, uno dei principali esportatori al mondo di greggio: si pensa che la crisi possa impattare sull’industria petrolifera, riducendone la forza. Dal 2000 Caracas ha dimezzato l’estrazione di greggio a 1,5 milioni di barili al giorno, non solo per il calo dei prezzi del greggio, ma anche a causa anche dei mancati investimenti nel settore.