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Thailandia, anche Bangkok sta per essere invasa da alluvioni devastanti

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Bangkok – L’hanno definito «uno tsunami al rallentatore»: una gigantesca massa d’acqua che da luglio, nelle peggiori inondazioni degli ultimi 50 anni in Thailandia, ha già ucciso almeno 360 persone, provocando danni per miliardi di euro. E ora incombe su Bangkok e i suoi 12 milioni di abitanti, prolungando un’emergenza che – ha avvertito ieri il governo – potrebbe durare un altro mese e mezzo. La metropoli guarda con apprensione il livello del fiume Chao Praya e delle decine di canali che attraversano quella che era chiamata la Venezia d’Oriente, e che adesso potrebbe diventarlo davvero. In diversi punti, all’acqua mancano non più di 20 centimetri per tracimare. Con i sobborghi settentrionali allagati da una settimana, i supermercati sono presi d’assalto: trovare bottiglie d’acqua è un’impresa, sugli scaffali scarseggia anche il riso.

Gli automobilisti lasciano le macchine in sosta sulle autostrade sopraelevate, mentre i parcheggi rialzati dei centri commerciali sono esauriti. Vicino al fiume si erigono freneticamente barriere di sacchi di sabbia, ma l’impressione è che sia troppo tardi. Più a Nord, l’area allagata è grande quanto il Lazio e coinvolge trenta province e nove milioni di persone. È il bacino del riso thailandese, la grande pianura centrale dove confluiscono i fiumi dalle montagne nel Nord: oggi un enorme lago che ha ricoperto terre coltivate, aree industriali, intere città come l’ex capitale Ayutthaya, con i suoi templi Patrimonio mondiale dell’umanità.

Gli sfollati sono 113 mila, ma in molti hanno scelto di rimanere nelle proprie case nonostante l’acqua arrivi in alcuni punti a due metri di altezza. Diverse vittime sono morte fulminate dalla corrente elettrica. Con un’acqua stagnante da settimane e ormai putrida, ora si teme il diffondersi di malattie. Ma ogni anno, tra settembre e ottobre, queste zone convivono con gli allagamenti. Che cosa è andata storta questa volta? Sicuramente piogge monsoniche più intense del solito, ma appare chiaro che la gestione dell’emergenza è stata pessima fin dall’inizio. Il disboscamento selvaggio e il troppo cemento hanno ridotto le vie di fuga naturali per l’acqua. Le dighe sono state lasciate riempire fin quando era troppo tardi e poi parzialmente svuotate quando i fiumi erano già in piena.

I soccorsi non sono stati organizzati per tempo. Il conto dei danni aumenta ogni giorno: si parla di almeno 2,5 miliardi di euro, con una riduzione della crescita del Pil di due punti. Migliaia di fabbriche – tra cui quelle di molte marche giapponesi, dell’automobilistica e dell’elettronica sono sott’acqua, con conseguenze mondiali sui tempi di produzione e consegna; almeno 2 milioni di tonnellate di riso sono rovinate, e sono stati temporaneamente persi 650 mila posti di lavoro. Il governo di Yingluck Shinawatra è nella bufera.

Il disastro è cominciato quando la prima premier donna nella storia della Thailandia non era ancora in carica, ma è diventato una calamità naturale nell’ultimo mese, e i contraddittori messaggi arrivati da Yingluck hanno dato l’impressione di debolezza. Solo una settimana fa la premier aveva definito Bangkok «al sicuro», fiduciosa che la massa d’acqua sarebbe stata deviata; ora invita gli abitanti a mettere in salvo i propri beni e a prepararsi per un’emergenza di «quattro-sei settimane».

Non aiuta il fatto che altre autorità coinvolte come l’esercito e il governatore di Bangkok – siano della parte politica avversa, replicando così nella gestione del disastro la divisione tra «rossi» e «gialli» che negli ultimi sei anni ha logorato il Paese. Nelle province più colpite volano anche le accuse di averle allagate più del necessario per risparmiare Bangkok, che contribuisce al 40 per cento del Pil. Ora, al rallentatore, la capitale teme di fare la stessa fine.

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