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Thailandia: cuore del sudest asiatico, porta d’Oriente per le aziende italiane

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Bangkok – Conosciuta principalmente per il turismo: dalle spiagge dorate al sud, alle foreste tropicali del nord. Ma la Tailandia è anche altro. Un paese industriale moderno che trova la forza nei settori della meccanica e dell’elettronica. Così Vincenzo Calì, responsabile dell’ufficio ICE (Istituto per il commercio estero) nella capitale Bangkok, ci tiene a definire il sistema paese. “Noi italiani la conosciamo poco e purtroppo ci investiamo poco”.

Fanno da eco le parole dell’Ambasciatore italiano in Thailandia, Michelangelo Pipan: “La nostra presenza non e’ commisurata alle importanti opportunità offerte dalla Tailandia, tanto più se vista nel più ampio contesto dell’Asean”.

Eppure tanti altri grandi attori hanno capito l’importanza strategica ricoperta dal territorio, non solo dal punto di vista geografico, ma di opportunità di business. Non è un caso che il Giappone, la terza più grande economia al mondo, abbia fatto della Tailandia il suo hub regionale.

La forza del sistema economico e della capacità del paese di attrarre investimenti esteri è facilmente osservabile dalla grandezza della sua economia (Pil). Alla posizione numero 31 a livello globale, al di sopra di altre grandi realtà quali Danimarca, Finlandia, Malesia e Portogallo, giusto per citarne alcune.

Pil in continua crescita, trova il forte supporto nelle scelte di politica monetaria della Bank of Thailand (la banca centrale), sempre dimostratasi all’altezza nel garantire la stabilità dei prezzi e un’economia bilanciata con elevati tassi di crescita. Nonostante il susseguirsi di vari governi, con visioni differenti, nel corso degli anni anche le politiche fiscali sono sempre state favorevoli, incentrate nella costruzione e nel potenziamento di un sistema infrastrutturale moderno ed efficiente su vari fronti, che danno ora alla Tailandia un grosso vantaggio competitivo rispetto ad altri paesi del sudest asiatico.

Un ruolo da protagonista nell’area, tra i cinque paesi fondatori e tra i più attivi del blocco ASEAN (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Tailandia e Vietnam), offre diversi vantaggi alle aziende che vogliono prendere parte all’imponente crescita in corso in questi mercati emergenti. “In Asia, (la Tailandia) è un atterraggio più morbido”, puntualizza Calì, ormai da oltre quattro anni a contatto diretto con la realtà tailandese.

Parte vitale dell’AEC (ASEAN Economic Community), offre l’accesso di beni e servizi a condizioni privilegiate al blocco di paesi sopra citato (oltre 600 milioni di persone). “Interessante come base produttiva grazie alla posizione geografica strategica occupata nell’area e a una rete infrastrutturale che consente un movimento rapido ed efficiente delle merci”, puntualizza l’ambasciatore Pipan. “L’Italia ha capito le potenzialità offerte da questo grande mercato allargato. Il recente ASEAN Awareness Forum, organizzato dal Ministero degli Esteri a Roma lo scorso 22-23 marzo per permettere ai paesi del gruppo di presentare al mondo finanziario ed imprenditoriale italiano le opportunità di business offerte dai loro paesi, ne è la chiara dimostrazione”.

Ma gli orizzonti della Tailandia si estendono ben oltre la stipula di trattati multilaterali siglati dall’ASEAN con vari paesi quali Giappone, Cina, Australia e Nuova Zelanda. Grazie a una serie di accordi bilaterali, il mercato accessibile (a condizioni privilegiate) sale a 3.400 milioni di persone.

Questo un grosso vantaggio, che ovvia al problema di un “mercato interno abbastanza limitato”, confessa Calì, facendo notare però come “i consumi interni sono in costante crescita“, grazie al continuo aumento del reddito medio e tassi di disoccupazione tra i più bassi al mondo, intorno all’1%. Nessun errore, 1%. Praticamente irragionevole fare un confronto su questo punto con l’Europa.

Un sistema industriale moderno e variegato con costi della manodopera, specializzata e non, tra i più competitivi, completano il quadro. Ma non si faccia confusione a paragonare la Tailandia con il Vietnam. “In confronto (la Tailandia) è già un paese moderno” con “un’industria più sofisticata, infrastrutture più efficienti, un sistema politico più favorevole, e pratiche burocratiche più snelle”. Certo, “il costo della manodopera non è comparabile ma, d’altro canto, nemmeno l’efficienza”, specifica Calì.

Le recenti divergenze politiche degli ultimi anni non sembrano aver impattato in maniera significativa l’attività delle imprese e, da questo punto di vista, la fiducia degli investitori rimane alta. “Il problema della mancanza di una chiara legittimazione democratica è stato superato grazie alle ultime elezioni, che hanno fatto emergere una maggioranza forte”, precisa l’ambasciatore Pipan, “e non ci sono ormai più riserve da parte dei paesi occidentali”.

Diverso invece se si va ad analizzare le conseguenze della catastrofe naturale dello scorso anno. L’inondazione di zone industriali e di centri urbani a nord dell’area metropolitana di Bangkok hanno infatti messo in luce un’incapacità del governo di reagire in maniera efficace a problemi urgenti e che richiedevano larga cooperazione. Il risultato è stato danni per miliardi di dollari, con diverse società costrette a perdere macchinari, attrezzature e prodotti finiti. L’impatto è stato forte non solo in termini di Pil (variazione circa 0% nel 2011, recuperabile tramite investimenti nel 2012, con stime su +6,5%), ma anche nella fiducia delle imprese (si pensi solo alla faccia dei dirigenti Honda quando hanno visto allagarsi il parco auto dello stabilimento presso Rojana Industrial Park, e buttare via 1.055 vetture già ultimate). Ma guardando al futuro positivo il fatto che il governo, resosi conto dell’urgenza del problema, abbia iniziato subito il processo di ammodernamento e di costruzione di infrastrutture mirate a che tale disastro non si avveri più. In merito, il Parlamento ha già approvato lo stanziamento di €8,7 miliardi, di cui in parte già spesi.

Al momento comunque il vero problema della Tailandia sembra essere la crisi dei mercati internazionali. La forte dipendenza dalle esportazioni (circa il 75% del Pil) rendono il paese vulnerabile a momenti depressivi nel commercio estero e nella domanda globale di beni. Con l’acuirsi della crisi, le esportazioni tailandesi sono calate -1,47% nei primi 5 mesi del 2012, dopo +25,18% nello stesso periodo 2011, come da tabelle ICE. La variazione è stata più netta con i paesi al centro dei tumulti nei mercati, con le spedizioni verso l’Italia giù -24,16%. Per certificare questo fenomeno basta dare uno sguardo alle esportazioni a livello di macro-area: Europa -11,42%, Giappone -4,56%, Stati Uniti +3,44%, ASEAN +9,61%. Le importazioni sono comunque in generale aumento: +11,55% a livello globale, +5,28% dall’Italia.

Rapporti con l’Italia

Continuando con i dati sugli scambi, uno sguardo alle varie componenti commerciali tra i due paesi. Le principali esportazioni tailandesi verso l’Italia (dati 2011) sono per lo più prodotti manifatturieri (65,83% del totale), prodotti agricoli (18,12%) e agroindustriali (15,38%). Nello specifico i primi 5: pietre preziose e gioielli (9,57%), gomma (8,98%), macchinari aria condizionata e componenti (7,55%), pesci e surgelati (5,93%), pesce preparato e lavorato (3,59%). Per contro, la maggior parte delle importazioni tailandesi dall’Italia sono beni in conto capitale (50,94%), seguiti da materie prime e prodotti intermedi (25,90%) e beni di consumo (20,67%). Nello specifico i primi 5: macchinari e componenti (23,62%), manifattura in metallo (12,82%), prodotti chimici (9,35%), prodotti medici e farmaceutici (4,89%), macchinari elettronici e componenti (4,55%).

Se gli scambi commerciali con l’Italia sono in forte aumento ($2.740 milioni nel 2009, $3.167 milioni nel 2010, $3.966 milioni nel 2011), lo stesso non si può dire per gli investimenti. I grandi nomi italiani presenti sono pochi, anche se rendono bene l’idea di come il tessuto economico tailandese sia capace di accogliere realtà settoriali differenti. Tra le più grosse: Danieli, Generali, Italcementi, Ducati Faber, Panatrade e Iarp.

Sono comunque i giapponesi a dominare la scena degli investimenti, con l’Italia nei posti bassi della classifica. “Purtroppo l’Italia non è molto Asia-oriented”, confessa Calì, “perché la Tailandia meriterebbe davvero maggiori investimenti”. Un paese molto interessante sotto vari punti di vista per la nostra realtà imprenditoriale e ricco di vantaggi per le nostre imprese.

In fondo “i nostri prodotti sono tra i più apprezzati”, ricorda l’ambasciatore Pipan. “Non solo per quanto riguarda l’alimentare e la moda. I dati sugli scambi commerciali tra Italia e Tailandia lo confermano. Macchinari industriali e beni in conto capitale sono tra i più richiesti”. E le opportunità di investimento non sono più ormai solo in una direzione, puntualizza l’ambasciatore, ricordando l’acquisizione de La Rinascente da parte del gruppo tailandese Central.

Opportunità per le aziende italiane

In quanto paese industriale la Tailandia necessità di tecnologia e di macchinari moderni, che migliorino l’efficienza dell’attività produttiva. Un punto debole al momento è che, nonostante la nostra tecnologia sia alla pari di quella di altri concorrenti, manca ancora di un servizio post-vendita sviluppato.

Paese che importa gran parte delle risorse energetiche necessarie, vi sarebbero una serie di opportunità nel comparto delle energie alternative.

In ragione del turismo sanitario, costante necessità di macchinari e prodotti medicali.

Con il processo di ammodernamento dell’impianto idrico, per evitare il verificarsi dei problemi causati dalle recenti inondazioni, le aziende italiane potrebbero cogliere la palla al balzo e sfruttare le conoscenze e la tecnologia in merito.

Considerando la forte crescita economica e del salario medio, non solo della Tailandia, ma dell’intera area asiatica, il paese potrebbe essere sfruttato come hub commerciale, grazie anche al forte afflusso di turisti ogni anno. Occhio nello specifico al mercato del lusso.

“Importante inoltre sfruttare le opportunità derivanti da sinergie tra i sistemi produttivi dei due paesi”, puntualizza l’ambasciatore Pipan, ricordando come gli ultimi governi abbiano concentrato l’attenzione sullo sviluppo della creatività nel sistema produttivo e della preparazione a una partecipazione più attiva e competitiva delle aziende nei mercati internazionali. Proprio con l’Italia sono aperte infatti una serie di collaborazioni, nello specifico in settori più maturi quali quello della gioielleria. Opportunità, e si discute, anche di un possibile ingresso in forze nel mercato italiano dei tailandesi, nel business dei centri benessere.

“I rapporti tra i due paesi sono ottimi. Ci sono tutte le condizioni per migliorare e rafforzare le relazioni commerciali e imprenditoriali”, conclude l’ambasciatore Pipan.

Riforme

Al fine di attrarre un flusso maggiore di investimenti esteri, potrebbe essere di aiuto una revisione delle restrizioni imposte agli stranieri dall’ormai datato Foreign Business Act. Restrizioni “non insormontabili per le imprese”, come confessa lo stesso Calì, ad esempio attraverso gli incentivi e i vantaggi offerti dal Board of Investment (BOI, l’ufficio per la promozione degli investimenti), ma comunque che in qualche modo limitano la competitività e di conseguenza l’efficienza del sistema produttivo. Importante anche una facilitazione dell’accesso al mercato appesantito da una serie di barriere tariffarie e non. In merito, la firma di un trattato di libero scambio tra la Tailandia e l’Unione europea (in fase di studio) sarà di vitale aiuto per le aziende italiane.