Il nuovo primo ministro britannico, Theresa May, ha intenzione di prendere tutto il tempo che serve per negoziare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ma non cederà sul messaggio principale che il popolo ha comunicato attraverso il referendum: l’immigrazione dovrà diminuire al di sotto delle 100mila unità entro il 2020. May ha comunicato al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, che l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che inaugura la procedura di recesso dall’Ue, non verrà attivato prima di un accurato negoziato preparatorio e comunque non prima di fine anno. La Brexit, di fatto, slitterebbe fino a due anni più in là, nel 2019. Nonostante il nuovo premier fosse stato impegnato nella campagna a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue, il punto cruciale dei negoziati sembra chiarito: il Regno Unito non cederà sul ritiro dalla libera circolazione delle persone, propria dei membri del mercato unico europeo. Farlo, infatti, equivarrebbe a ignorare la principale preoccupazione del popolo britannico. Attualmente ogni anno entrano nel Regno Unito 333mila persone, nel giro di quattro anni tale cifra dovrebbe essere inferiore a un terzo. Questa la principale promessa di Theresa May.
Avrà modo di parlarne oggi a Berlino, in visita alla cancelliera Angela Merkel e domani a Parigi col presidente Francois Hollande. Durante il primo question time di poche ore fa May, lo ha chiarito, “il Regno Unito non esce dall’Europa”, segno che la collaborazione sulle grandi sfide di politica estera e al terrorismo internazionale restano dov’erano anche prima del 23 giugno.
“Sono sicura che la Gran Bretagna avrà successo nel lasciare l’Unione Europea e questo è il motivo per il quale ho deciso di visitare Berlino e Parigi così presto dopo aver accettato l’incarico”, ha detto May, “non sottovaluto la sfida di negoziare la nostra uscita dall’Ue, e credo fermamente che parlare con franchezza e apertamente sui problemi sarà una parte importante di un negoziato di successo”.