Tim sale oggi in borsa dopo che, secondo fonti ministeriali, il Consiglio dei ministri ha dato l’ok con un decreto legge all’accordo tra il Ministero dell’Economia e il fondo Usa Kkr per spartirsi NetCo, la nuova società (newco) in cui confluiranno la rete primaria di Tim, la rete secondaria (Fibercop) e Sparkle, che possiede e gestisce una rete in fibra di circa 550 mila chilometri che contribuisce a garantire i collegamenti internet tra Europa, Africa, America e Asia.
La vendita della rete di Tim
L’intesa, firmata lo scorso 11 agosto, prevede che al Mef andrà il 20% della società della rete fissa NetCo per circa 2,5 miliardi di euro, mentre Kkr avrà circa il 65%. Resta ancora da definire chi rileverà il restante 15% di Tim. Si dice che il gestore italiano di fondi infrastrutturali F2i dovrebbe prendersi il 10% e Cdp l’altro 5%. Rimane da sciogliere il nodo Vivendi, società francese prima azionista di Tim con una quota del 23,8%, contrario allo scorporo della rete, che potrebbe fare una controfferta per quest’ultimo.
Il ministro dell’Economia Giorgetti considera Kkr il naturale interlocutore per la rete di Tim, considerata strategica del governo. “Non è un caso se lo Stato italiano ci ha investito qualche miliardo del Pnrr per assicurare a tutti gli italiani di accedere a internet ad alta velocità con la fibra”, ha sottolineato il ministro Giancarlo Giorgetti alla conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri. Analizziamo l’importanza di Tim e della sua rete.
L’importanza della rete
La rete fissa delle telecomunicazioni fa parte di Tim dal 1997, anno dello sbarco in borsa dell’allora Telecom Italia (oggi chiamata Tim). La sua rete è la più estesa in Italia, essendo composta da oltre 21 milioni di cavi in fibra ottica, che coprono l’89% delle case italiane. E’ quindi la principale infrastruttura per la trasmissione di dati di cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Per questo è una risorsa strategica del paese.
Il tema dello scorporo della rete è stato definito dall’ex dirigente di Telecom Vito Gamberale “un tema carsico, sembra quasi il viaggio di Ulisse, un’Odissea”. La vendita della rete preoccupa i sindacati, che temono contraccolpi occupazionali. D’altro canto, Tim è sommersa dai debiti, accumulati a partire dalla privatizzazione degli anni Novanta. Tim ha chiuso il 2022 con un indebitamento finanziario netto after lease di 20 miliardi di euro, in salita di 2,4 miliardi di euro rispetto al 31 dicembre 2021. Riccardo Saccone, sindacalista della Slc Cgil, ammette:
“Telecom senza il contratto di solidarietà che abbiamo firmato non riuscirebbe a pagare gli stipendi a causa del debito troppo alto. L’operazione viene fatta per abbattere il debito che diminuirà ma ci sarà una quota residua da spalmare sulla due società di rete e servizi”.
A suo avviso, “il debito sarà cancellato grazie agli introiti che Tim realizzerà dalla vendita della rete, che dovrebbe essere valorizzata intorno ai 20 miliardi“. Ricordiamo che lo scorso 15 febbraio, in occasione della presentazione dell’aggiornamento del piano industriale, l’amministratore delegato del gruppo, Pietro Labriola, aveva sottolineato che Tim è “un’azienda industrialmente sana” che però soffre per “il fardello del debito” che deve ormai “essere risolto strutturalmente”.
L’importanza di Tim
Tim è storicamente legata alla politica e ai vari governi e quello attuale non fa eccezione. L’azienda del resto gestisce dati sensibili e le infrastrutture di telecomunicazione, sottoposte al regime dei poteri speciali, ovvero del golden power, lo strumento normativo che consente al governo di uno Stato di bloccare o porre specifiche condizioni a determinate operazioni finanziarie che contrastino gli interessi nazionali.
Le altre aziende strategiche per l’Italia
Non solo Tim. Ci sono altre aziende strategiche per il nostro paese, comunemente chiamate i “gioielli di famiglia”. Tra esse rientra Pirelli, multinazionale con sede in Italia, che opera nel settore automobilistico come produttore di pneumatici per automobili, moto e biciclette, per cui il governo ha esercitato il golden power sul patto tra la Camfin di Tronchetti e i cinesi di Sinochem, riducendone i poteri.
Poi ci sono le società pubbliche, le cui nomine dei vertici suscitano puntualmente clamore: le utility Eni ed Enel, la società attiva nel recapito, nella logistica, nel settore del risparmio, nei servizi finanziari e assicurativi Poste Italiane e l’operatore di aerospazio, difesa e sicurezza Leonardo.