Economia

Trattato transatlantico: a guadagnarci saranno gli Usa

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NEW YORK (WSI) – Che lo si chiami Tafta o TTIP, il progetto per l’apertura di una free zone per il libero scabio commerciale tra Stati Uniti ed Europa non pare a prima vista avere nulla di interessante per la gente comune.

In realtà le ragioni perché un documento all’apparenza noioso debba attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sono molteplici e in particolare il fatto che avrà un impatto sulla vita di tutti i giorni della popolazione europea.

In sintesi, i punti principali su cui vale la pena soffermarsi sono tre e variano a seconda della tempistica dell’impatto che avrà il trattato. Sul lungo termine il patto firmato da Obama e i leader europei inciderà nel marmo tutta una serie di principi liberali di scambio; sul medio termine, avrà un impatto sui nostri consumi, influenzando rapidamente i prezzi di alcuni prodotti di base della nostra vita quotidiana; sul brevissimo, contrariemente a quello che si sarebbe portati a pensare, Bruxelles è sempre più aperta alla trasparenza ed è pronta ad ascoltare il parere dei suoi cittadini.

Per ora però a prendere le decisioni sono sempre le autorità europee. In molti suoi punti il Tafta ricorda il trattato di Maastricht del 1993, che obbliga gli Stati membri europei a redurre il deficit al 3% del Pil altrimenti sono sottoposti a sanzioni europee.

I trattati internazionali servono ad applicare principi che spesso non sono accettati sulla scena politica interna. Alcuni la chiamano perdita di sovranità. In realtà è più semplice: gli accordi commerciali sono spesso usati per giustificare riforme interne che altrimenti sarebbe difficile veder passare e sopratutto servono a impedire ai governi di cambiare le politiche sul lungo termine.

In un paese storicamente instabile politicamente come l’Italia i rapporti commerciali sarebbero destinati a cambiare di governo in governo senza la continuità che l’Europa richiede.

L’accordo commerciale transatlantico del Tafta/TTIP cambierà i prezzi dei prodotti di base che italiani ed europei comprano ogni giorno. I prezzi del tessile, delle auto e di alcuni prodotti agricoli scenderanno leggermente sul breve termine, grazie a diritti doganali abbassati e di una serie di nuove norme comuni.

Se poi Washington accetta di vendere il suo gas di scisto all’Europa come sembra, il prezzo dell’energia potrebbe anche diminuire in maniera significativa. Allo stesso tempo, il prezzo dei medicinali è destinato ad aumentare, perché il costo della proprietà intellettuale dei laboratori si alzerà.

Ma, come sanno tutti, il massimo dei benefici andrà alle grandi imprese, che porranno esportare più facilmente verso l’altra regione e persino istallarvisi. Lo stato che offrirà imposte aziendali più basse ne gioverà e le aziende pure.

Quanto ai dipendenti, invece, si porranno ottenere più facilmente visti per lavorare oltre oceano. Ma il meccanismo funziona in entrambi i sensi.

Aprendo le frontiere del mercato europeo alle società americani, si corre il rischio di fragili alcune strutture economiche europee, capisaldi dell’industria del vecchio continente, come l’agricoltura. A conti fatti, a guadagnarci saranno in particolare gli americani.

Per chi volesse far sentire la propria voce ed evitare che il trattato prosegua così com’è stato pensato, contrariamente al pensiero comune, la Commissione europea, che ha negoziato il trattato con gli Usa in vece di 28 paesi facenti parte dell’Unione europea, non è un palazzo inaccessibile. Le autorità sono aperte al confronto.

Complici anche le pressioni esterne dei cittadini, la trasparenza sta lentamente diventando un improbabile punto di forza di Bruxelles: un numero sempre maggiore di documenti dei trattati sono resi pubblici, incluso il mandato di negoziazione europea che era stato pubblicato su Internet pur restando confidenziale in via ufficiale.

Dettaglio ancora più importante, durante i negoziati la Commissione è pronta a prendere in considerazione la situazione politica e l’opinione publica di ciascuno dei singoli paesi.

È successo di recente con le polemiche scatenate dalla risoluzione sui tribunali di arbitraggio privati: un numero crescente di politici, di Ong e di specialisti protestano da mesi per l’annullamento del trattato. Persino l’Economist ha criticato la risoluzione delle “controversie tra investitore e stato” definendola “un modo per consentire alle multinazionali di arricchirsi a spese della gente”.

Il problema su cui le proteste sono concentrate riguarda la parte relativa alla “risoluzione delle controversie tra investitore e stato” (Investor-state dispute settlement, Isds). Come spiega George Monbiot, giornalista del Guardian, “il trattato consentirebbe alle aziende di fare causa ai governi citandoli davanti a un collegio arbitrale di avvocati esperti di diritto societario, un collegio dove le altre parti non avrebbero alcuna rappresentanza e che non sarebbe soggetto a un riesame dell’autorità giudiziaria”.

Il meccanismo del Ttip che consente di portare davanti ai tribunali d’arbitraggio gli esecutivi locali per impedire alle amministrazioni di annullare per esempio la privatizzazione delle ferrovie o della sanità pubblica, è stato messo in discussione.

In un primo momento l’Europa non ha fatto concessioni agli attivisti che si oppongono al trattato, dicendo che non si può trattare. Ma ora le cose sono poi cambiate. A fine settembre la nuova Commissione europea ha aperto per la prima volta all’ipotesi di discutere il Tafta/TTIP senza i tribunali di arbitraggio, come ha precisato il commissario del Commercio Cecilia Malmström, che ha uno stile meno intransigente e austero del suo predecessore Karel de Gucht.

Il primo studio pubblicato in materia da un economista indipendente Usa, Jeronim Capaldo della Tufts University, conclude che il Tafta favorisce la disintegrazione economica, anziché l’integrazione, in Europa.

Il trattato porterà a perdite in termine di export netti tra un decennio, rispetto a uno scenario privo dell’accordo per il libero commercio transatlantico.

Quel che è peggio è che il Ttip causerà un calo dei salari e una perdita di posti di lavoro. La percentuale di lavoratori scenderà, mentre salirà la quota di capitale degli azionisti.

I ricavi dello stato scenderanno (meno soldi saranno disponibili per infrastrutture, giustizia e welfare sociale) e l’instabilità finanziaria crescerà (maggiori saranno i rischi di crac economici).

Fonte principale: Le Monde