Il 16 gennaio del 2015 la Banca centrale svizzera spiazzò tutti con la decisione clamorosa di “uscire dall’euro”, ovvero di abbandonare il peg tra le due divise e lasciare il franco libero di scambiare sui mercati valutari. Tre anni dopo la divisa svizzera rischia di scendere addirittura sotto i livelli predeterminati di allora, con alcuni economisti come quelli di Swiss Life che sono convinti che la fase rialzista sia volta al termine e che il franco si indebolirà fino a toccare il valore di 1,22 per ogni euro entro la fine del 2018.
Allo stesso tempo gli analisti sono consapevoli dei rischi rappresentati dalle prossime elezioni politiche in Italia: un risultato che generi instabilità politica e quindi sfavorevole alla moneta unica potrebbe spedire il franco nella direzione diametralmente opposta. Anche l’incertezza sui negoziati in corso sulla Brexit e i colloqui sulla formazione di una coalizione di governo in Germania sono possibili catalizzatori di nuove tensioni in Eurozona.
La mossa a sorpresa della Swiss National Bank, che non poteva più sopportare un franco esageratamente sottovalutato, ha provocato uno scossone sui mercati, con l’improvviso rafforzamento del franco, ma anche nei portafogli e risparmi di chi abita o lavora in Svizzera: nei giorni immediatamente successivi si sono formate lunghe file agli sportelli bancari di Ginvevra, Zurigo, Berna e delle altre città del paese elvetico, circondato da paesi dell’area euro e che ospita un gran numero di cittadini degli stati membri del blocco a 19.
Dal 2015 la banca centrale ha sopperito alla mancanza di un peg tra euro e franco, fissato a 1,20, comprando asset sui mercati. La banca centrale guidata da Thomas Jordan ha accumulato grandi quantità di attivi stranieri per ridurre la forza del franco. Quando compra questi asset, la banca vende di fatto franchi svizzeri, incrementando così l’offerta, un fattore che a sua volta diminuisce giocoforza il valore della divisa.
Al momento l’SNB detiene asset per un valore stimato superiore agli 800 miliardi di franchi, il 43% in più di quanto non facesse alla fine del 2014, prima che rinunciasse al legame tra euro e franco. Fortunatamente per la Svizzera, questi asset stranieri sono aumentati di valore e sono fruttati un profitto di ben 54 miliardi di franchi l’anno scorso. È stato possibile ottenere tali ingenti guadagni grazie alle posizioni nel valutario (computo positivo di 49 miliardi di franchi), ma anche grazie al rialzo degli asset legati all’oro (+3 miliardi) e al rafforzamento degli asset denominati in franchi (+2 miliardi).
Sono numeri giganteschi se vengono messi a confronto con quelli dell’Eurozona. Gli asset in mano alla SNB sono enormi rispetto all’economia svizzera. Basti pensare che nel 2016 il Pil dell’area euro era di 10.800 miliardi di euro, mentre gli attivi posseduti dalla Bce erano del valore di 3.700 miliardi di euro. Il rapporto è di 3 a 1. Nello stesso anno il Pil della Svizzera era pari a 659 miliardi, mentre la banca centrale aveva 747 miliardi, più del prodotto interno lordo. E da allora quella somma è cresciuta di altri 800 miliardi, per un valore equivalente a più del doppio del Pil attuale.