Ieri le Borse hanno brindato alla tregua commerciale tra Usa e Cina. Un evento in parte inaspettato dal mercato, ma sui cui esiti finali gli analisti mostrano opinioni contrastanti. A partire da Goldman Sachs, secondo cui c’è solo il 20% di probabilità che in tre mesi si arrivi a un accordo completo.
Ma procediamo per ordine. Il cessate il fuoco di 90 giorni, che partirà il primo gennaio, evita che in quella data i dazi Usa del 10% su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi salgano al 25% come era stato indicato al momento della loro entrata in vigore lo scorso settembre.
Ricordiamo che ad aprile gli Usa hanno annunciato una prima tranche di dazi del 25% su 50 miliardi di merci cinesi. La Cina ha risposto imponendo un’aliquota media 13% su un totale di 110 miliardi di merci statunitensi e svalutando lo yuan, che nel complesso si è deprezzato del 10% sul dollaro. Poi a settembre sono partiti nuovi dazi dagli Usa al 10% su un totale di altre merci cinesi per 200 miliardi.
Secondo quanto scrive Vito Lops in un articolo pubblicato oggi sul Sole 24 Ore:
“a conti fatti questi misure hanno danneggiato più gli Usa che non la Cina. Perché nel complesso (calcolando il 25% su 50 miliardi e il 10% su 200 miliardi) il danno inferto da Washington a Pechino ammonta a 32,5 miliardi. Ma il danno cinese (13% su 110 miliardi) è più ampio proprio perché si deve aggiungere anche la svalutazione dello yuan (10%) che va a colpire il totale delle merci cinesi importate dagli Usa (500 miliardi). E quindi il conto dei danni inflitti dalla Cina agli Usa sale a 64 miliardi”.
Cosa sarebbe successo se Trump avesse alzato al 25% l’aliquota dei dazi sulla quota dei 200 miliardi tassata oggi al 10%?
Secondo Antonio Cesarano, analista di Intermonte sim
“avrebbe aggiunto altri 30 miliardi al danno inferto alla Cina portando il conto complessivo a 62 miliardi, andando sostanzialmente a pareggiare le contro-misure cinesi. Sarebbe stato un pari e patta”.
Pe Fidelity International, questa eventualità
“avrebbe compromesso lo 0,7% della crescita del PIL cinese nel 2019 rispetto alla riduzione dello 0,5% attesa per il momento come conseguenza dei dazi già imposti. In precedenza, Trump aveva prospettato l’ampliamento della platea di applicazione su altri prodotti cinesi per un controvalore di 267 miliardi di dollari. Ma la recente volatilità del mercato azionario, il persistente inasprimento attuato dalla Federal Reserve e i grandi volumi di invenduto dei germogli di soia statunitensi un tempo destinati alla Cina potrebbero aver suggerito un’altra via”.
Ma quanto può durare la tregua? Come fanno notare gli esperti di Schroders:
“Segnali di tensioni future sono stati subito evidenti nelle rispettive conferenze stampa, con gli Stati Uniti che hanno sottolineato che i dazi al 25% verranno imposti se non sarà raggiunto un accordo dopo 90 giorni, mentre la Cina ha parlato di ridurre i dazi esistenti. L’esito delle negoziazioni è stato migliore delle attese, ma le differenze sulla proprietà intellettuale e sul trattamento della tecnologia in Cina probabilmente rappresenteranno degli ostacoli considerevoli per un accordo duraturo. Gli esponenti più conservatori della Casa Bianca continueranno a fare pressioni per la loro causa, condivisa dalla base elettorale di Trump. Nel frattempo, il Presidente Xi Jinping difficilmente abbandonerà la posizione della Cina sulla proprietà intellettuale”.