«Adoro Monti da quando scrisse che negli ultimi tre anni avevo salvato questo paese…». Giulio Tremonti battezza da Riccione la sua nuova creatura politica «3L-Lista Lavoro Libertà» ironizzando sul Monti uno e bino ieri editorialista oggi al governo – e sul montismo longa manus del «nuovo latifondismo finanziario che sta colonizzando il Paese».
Per l’ex ministro in Italia «ci sono troppe tasse e troppa paura«. Il governo «ha fatto più distruzione che creazione: doveva ridurre il deficit e aumentare la crescita, ma mi sembra che il deficit salga e la crescita scenda». Il giudizio è negativo, il redivivo Tremonti lo dice papale: «Non si può andare avanti con un signore che si erge a vicerè, fiduciario dei mercati internazionali puntando al bis…».
In tutto ciò, si chiede Tremonti, chi ci guadagna? Anzitutto le banche. Basta vedere «cosa sono diventati i Monti bond: i miei costavano caro ed erano vincolati a dare soldi alle Pmi; la nuova versione mi sembra ben più lasca». O basta vedere «come si muove la Bce che presta soldi all’1% ad istituti che non li impiegano nell’economia reale».
In seconda battuta per l’ex ministro «ci guadagna la speculazione finanziaria, la competizione che si fa contro l’Italia». Per questo «dobbiamo cominciare a comprare il nostro debito pubblico e a dire che i nostri titoli sono esentati dalle imposte presenti e future, bloccando il contagio. Una specie di compra Italia, per tornare padroni a casa nostra».
Insomma quella di Tremonti è la cartolina apocalittica di un’Italia «in svendita». In platea ad ascoltarlo un pezzo di mondo socialista (sul finire arriva l’ex ministro Rino Formica, uno degli ideologi della scesa in campo del professore), imprenditori e professionisti locali qualche giovane amministratore, Geronimo Larussa (amico del figlio di Tremonti, ndr), e qualche deluso del Pdl, il partito a cui è ancora iscritto ma oggetto di strali.
«Dello scontro interno al Pdl così come delle primarie Pd non ce ne frega niente», taglia corto Tremonti. «Il nuovo partito del quale si sta discutendo qui non è interessato alle poltrone e alle cose politiche della politica ma solo a discorsi concreti». Anche se poi ogni passaggio è infarcito di fiele e attualità: contro Enrico Bondi che ha svenduto Parmalat, contro Montezemolo, contro Fornero che «quando parla di lavoro parla di mercato del lavoro, come se le persone fossero merce», contro i presidenti di Camera e Senato «che non volevano tagliarsi le spese» e contro i governatori «che già l’anno scorso definii cialtroni…». La defenestrazione gli brucia ancora e si vede.
Quello di ieri è un seminario aperto, la prova generale per stamattina quando Tremonti presenterà il suo manifesto. Un programma che spazia dall’idea di riportare il debito in mano italiana per stroncare la speculazione alla nascita di una banca pubblica che faccia credito all’economia sul modello della tedesca KfW, dal referendum sull’Europa futura al concordato triennale preventivo. Il tutto tenuto insieme da un ritorno all’antico. «Il mio partito? Ha i valori del vecchio socialismo cattolico».
Il punto «non è tornare in parlamento». E nemmeno il potere. «Ne ho avuto anche troppo…». A questo punto «della mia vita vorrei discutere cose utili per i giovani e per la politica in Italia». Dunque «il primo punto è partire dai giovani: in parlamento ho fatto la proposta di dare loro il doppio voto, sono di meno, devono contare di più e devono avere una doppia scheda».
Il secondo punto è partire «dalla provincia, qui da Riccione, poi di andare in altre regioni e quindi verso il centro». Con una idea fissa: «Tanti italiani dovrebbero smettere di farsi suggestionare dal suicidio assistito dei tecnici e decidere di tornare ad essere padroni del loro destino». Già da domani, si capirà quante divisioni ha Tremonti.
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