“Non diventerò oggetto di un attacco mediatico alla Boffo”. É un avviso clamoroso e molto chiaro quello che, in sintesi, il ministro Giulio Tremonti consegna al premier Silvio Berlusconi, durante un’accesa discussione avvenuta ai primi di giugno scorso. È lo stesso ministro dell’Economia a riferirlo ai magistrati di Napoli, Francesco Curcio e John Woodcock, che lo hanno interrogato come persona informata dei fatti nell’ambito dell’inchiesta P4 che coinvolge Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti e parlamentare del Pdl.
Scrive Vittorio Malagutti su Il Fatto Quotidiano: “Tremonti e’ costretto a scendere nei particolari di fronte ai magistrati. Particolari spesso imbarazzanti, perche’ rivelano i suoi scontri con il presidente del Consiglio, i suoi timori di finire al centro di una campagna mediatica diretta al preciso scopo di distruggerne la credibilita’.”
Oggi, in una Roma stremata da un caldo canicolare, tra alcuni politici – di governo e di opposizione – ancora presenti nella Capitale e non partiti per il weekeend, qualcuno si chiede: come mai Tremonti disse a Berlusconi “non usare con me il metodo Boffo”? E’ un riferimento a una generica campagna stampa denigratoria da parte dei giornali amici del premier, oppure anche un’allusione a una presunta omosessualita’ del ministro dell’Economia?
Per quanto nessuno si sogni di interferire sulle preferenze sessuali degli individui, che ricoprano cariche pubbliche o meno, essendo la sfera privata del tutto irrilevante sulle capacita’ e meriti di una persona (Nichi Vendola puo’ essere un ottimo o pessimo politico indipendentemente dalla sue scelte) rumor su Tremonti circolano da anni negli ambienti politici romani, alimentati dal fatto che il ministro a detta di tutti e’ scontroso, ha molti tick, si relaziona male con le donne e altri segnali simili. Ma poiche’ Giulio Tremonti e’ sposato, ha famiglia e due figli ogni voce o rumor vanno presi, fino a prova contraria, per quello che sono: senza fondamento. Come del resto quelli che circolano su molti altri membri prominenti del governo Berlusconi.
Tuttavia e’ proprio l’espressione “Non diventerò oggetto di un attacco mediatico alla Boffo” che è contenuta nel verbale di interrogatorio in qualità di persona informata dei fatti che il ministro dell’Economia ha reso il 17 giugno ai pm di Napoli Curcio e Woodcock nell’ambito dell’inchiesta sulla P4, in cui e’ coinvolto il suo collaboratore, per oltre decennio, Marco Milanese. Dell’onorevole del Pdl i giudici hanno chiesto l’arresto per corruzione, rivelazione del segreto di ufficio e associazione a delinquere mentre stanno indagando anche per il reato di finanziamento illecito dei partiti. Nell’ambito dell’inchiesta su Milanese, rivela oggi il Fatto Quotidiano: “I Pm di Napoli indagano su finanziamenti per 165mila euro alla Fondazione Casa della Liberta’ che ha sede nella residenza del premier in via Rovani a Milano. Ma la Digos non puo’ entrare”.
Dunque, l'”attacco mediatico alla Boffo”. Nel verbale dei pubblici ministeri di Napoli si leggono le parole di Tremonti: “Nel corso della discussione io e il presidente del Consiglio manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio, ad un certo punto sono emerse posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro da parte del presidente del Consiglio. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza, una spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto, se non ricordo male, manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella “Boffo”. Ciò trovava riscontro in voci di parlamento che mi sono permesso di segnalare al Presidente del Consiglio”.
Commenta Il Fatto Quotidiano, in un articolo dal titolo con caratteri cubitali “Ricatto per Giulio”: “Tremonti ha paura che i media vicini al Cavaliere lo mettano nel mirino di una campagna come quella a suo tempo scatenata dal Giornale contro l’allora direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, reo di aver criticato il premier. Una campagna partita da un dossier (cucinato da Vittorio Feltri, allora direttore del Giornale, ndr) rivelatosi poi in buona parte falso, che faceva riferimento alla presunta omosessualita’ dello stesso Boffo. Tremonti non ha nessuna intenzione di finire nel tritacarne mediatico – scrive il Fatto – ma vede i titoli dei giornali del centrodestra. Li intepreta come avvertimenti chiari nei suoi confronti, avvertimenti contro chi potrebbe rappresentare una alternativa politica ad un premier sempre piu’ debole”.
Il ministro sulla questione ammette ai giudici di aver affrontato a muso duro Berlusconi in quel giorno di giugno. I due hanno un alterco pesantissimo. E’ lo stesso ministro dell’Economia a raccontare l’episodio nell’interrogatorio avvenuto al Ministero di via XX Settembre a Roma confessando di essersi rivolto al presidente del Consiglio in modo “caratterialmente reattivo”.
Il tandem chiacchierato tra Tremonti e Milanese e’ comunque uno dei punti cruciali dell’intera vicenda politica e giudiziaria (e anche finanziaria, se si guarda alla borsa). Scrive il Fatto Quotidiano, in un articolo di Fabrizio d’Esposito intitolato: “Il clan, la ‘cameriera’ e il Tremonti prigioniero”: “E’ stato all’inizio di quest’anno, ai primi di gennaio, che nel Pdl vari ministri e colonnelli percepirono con nettezza una sensazione: ‘Per distruggere Tremonti useranno Milanese”.
Per tutta una serie di episodi, la figura del consigliere politico del ministro cominciava infatti a essere ingombrante, ma Tremonti fece finta di nulla. “Perche’?” si chiede Il Fatto, “qual e’ il legame profondo tra i due?”. E poi le risposte: “Sull’origine dei loro rapporti esistono varie versioni… In questi anni non sono mancate strane allusioni su ‘Giulio e Marco’, al punto che Milanese si e’ guadagnato il perfido nomignolo di ‘cameriera di Tremonti’. Dice un altro parlamentare – scrive d’Esposito – ‘Marco ha un carattere opposto a quello del ministro. E’ sempre disponibile e simpatico e cerca di venire incontro a ogni richiesta’. Milanese e Tremonti: una relazione di amicizia diventata poi triangolare quando l’inseparabile consigliere ha lasciato la moglie e si e’ fidanzato con la portavoce del ministro, Manuela Bravi. A Montecitorio questo incrocio di rapporti e’ noto come ‘il clan Milanese'”.
Ora, lasciamo per un momento verbali, interrogatori dei giudici e ricostruzioni giornalistiche dell’ambiente romano, e torniamo alla bruta realta’ dei mercati finanziari: borse, banche globali, accaniti speculatori dal volto sconosciuto. Immaginate se le agenzie di stampa battessero la news di una richiesta di arresto per associazione a delinquere nei confronti del piu’ stretto collaboratore del ministro del Tesoro degli Stati Uniti Timothy Geithner, uno degli uomini chiave dell’amministrazione Obama: cosa pensate che accadrebbe a Wall Street? E’ questo, fatti i debiti paragoni, il piano di gravita’ degli episodi che l’Italia porta in questi giorni sul palcoscenico internazionale, analizzati e giudicati da New York, Londra, Tokyo, Singapore, Honk Kong.
Scrive Peter Gomez, direttore dell’edizione online del “Fatto Quotidiano”: “Tremonti, che aveva di fatto delegato (a Milanese) il compito di tenere i rapporti con la Guardia di Finanza e quello di sovrintendere alle nomine nelle società partecipate dal Tesoro, lo aveva mantenuto al suo posto sebbene sapesse da sei mesi di cosa era accusato. Il fatto poi che il responsabile dell’Economia abitasse in una casa pagata da Milanese 8.500 euro al mese e che la sua portavoce fosse la compagna dello stesso Milanese, deve spingere a una riflessione: o Tremonti è un uomo poco intelligente incapace di scegliersi i collaboratori (e perciò non può continuare a fare il ministro) o ha qualcosa da nascondere”. Esatto, proprio cosi’. Inutile dire con altre parole cio’ che e’ gia’ detto egregiamente bene.
Non e’ quindi per i rumor sul “metodo Boffo” che la borsa di Milano affonda, Moody’s e Standard & Poor’s mettono sotto osservazione l’Italia pronte a declassare il paese, e le banche italiane finiscono nel mirino della speculazione (la quale premia e punisce soltanto dove vengono offerti validi motivi per ambedue le azioni). “Continuare a far finta che questo quadro non c’entri con la rincorsa che il paese sta facendo per raggiungere la Grecia, é da stupidi. Prendersela con i cosiddetti mercati, maledire gli speculatori, è da ipocriti”, scrive Gomez. Infatti lunedi’ alla riapertura del mercato, il rischio e’ che continui l’attacco speculativo (da Londra, dove gli operatori possono operare short al contrario di quanto accade in Italia) contro i titoli di stato in cui e’ denominato il nostro colossale debito di circa 2,6 trilioni di dollari.
La verita’ e’ che ogni rumor sarebbe ininfluente se a Roma avessimo un governo unito, forte e in grado di rimettere il paese in carreggiata, riprendendo con vigore la via della crescita. Ma putroppo non e’ cosi’. E per questo il differenziale tra il Btp con l’omologo bund tedesco ha toccato il nuovo record dal 1999 (nascita dell’euro), il CDS Italia (credit default swap) e’ ai livelli massimi dell’anno, il Btp a 10 anni e’ in zona rischio ormai quasi alla stregua dei peggiori paesi della lista PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) per cui continua a salire il costo del debito pubblico (di varie decine di miliardi all’anno) il che a sua volta rischia di rendere nulla la manovra del governo, lasciando pero’ intatta la “patrimoniale” sulle classi meno abbienti. Sono tutti segnali interconnessi, reali e in tempo reale, di cui e’ impossibile non tenere conto. Nelle grandi capitali in America, Europa e Asia, e nelle maggiori borse mondiali.
Il mercato insomma sta sfiduciando con assoluta trasparenza l’Italia e l’attuale governo; e tutti noi cittadini rischiamo di pagarne le conseguenze. Un disperato lunch tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti non ha chiarito nulla, l’altro giorno, se non una pace armata e blindata tra premier e ministro, con il formale impegno a rispettare i patti presi con l’Europa e una tenuta fino a settembre, a manovra approvata. Ma attenzione: settembre e’ lontano varie settimane e i mercati finanziari saranno aperti dal lunedi’ al venerdi’, per tutto luglio e tutto agosto.
Per cui ecco le domande legittime da farsi: non e’ colpevole persistere nello scassare il sistema bancario e il loro patrimonio in titoli pubblici del valore di centinaia di miliardi? E’ giusto logorare un intero paese per tutto questo tempo, cioe’ fino a settembre? Le risposte sono: si’, e’ colpevole; e anche con dolo. E no, non e’ affatto giusto.
Intanto assistiamo tutti allo psico-dramma di un’intera nazione in balia di un ministro che garantisce il rigore (da ragioniere e senza generare sviluppo) essendo pero’ sempre piu’ chiacchierato, legato a catene pesanti, isolato nel suo stesso governo e impossibilitato a dimettersi nonche’ a essere licenziato dal datore di lavoro.
Diciamo la verita’: sarebbe molto meglio che entro domenica sera, cioe’ prima dell’apertura dei mercati asiatici, negli uffici del Ministero delle Finanze a via XX settembre a Roma si installasse qualcuno diverso da Tremonti. Un tecnico rispettato e autorevole a livello internazionale, che dovrebbe monitorare lo spread Btp/bund, i credit default swaps dell’Italia e garantire ovviamente che la manovra da 50 miliardi non sia stravolta dalle mire dei peones leghisti e pidiellini (cosa che azionerebbe all’istante Moody’s, Standard & Poor’s e qualche centinaio di hedge funds globali, con risultati sgradevoli e assai costosi per gli interessi da pagare sul debito pubblico). Chi al posto di Tremonti potrebbe avere il curriculum vitae adatto e nello stesso tempo la benedizione del premier di Arcore? Secondo Wall Street Italia al momento in area centro-destra c’e’ un solo nome possibile a disposizione: il membro italiano della Banca centrale europea Lorenzo Bini Smaghi (anche perche’ Mario Monti si e’ dichiarato piu’ volte “non disponibile” a lavorare per questo governo). Accadra’? Viste le premesse, c’e’ da dubitarne.
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Il clan, la “cameriera” e il Tremonti prigioniero
IL TANDEM CHIACCHIERATO CON MILANESE
di Fabrizio d’Esposito – Il Fatto Quotidiano
È stato all’inizio di quest’anno, ai primi di gennaio, che nel Pdl vari ministri e colonnelli percepirono con nettezza una sensazione: “Per distruggere Tremonti useranno Milanese”. La riflessione muoveva dal titolo a effetto che riservò il Giornale di Sallusti al ministro dell’Economia: “Tremonti non fare Fini”.
Scampato il pericolo della fiducia del 14 dicembre grazie ai Responsabili di Scilipoti, due settimane dopo l’house organ di casa Berlusconi metteva sotto tiro il divo Giulio della Seconda Repubblica. Con le stesse accuse già rivolte al “traditore” Fini: manovra di Palazzo per far cadere B. e andare alle elezioni anticipate, con la sponda della Lega. Scriveva Sallusti: “Tre-monti insiste per andare a votare . Obiettivo: Palazzo Chigi”.
II contesto dell’attacco del Giornale era questo: l’inchiesta sulla “Ditta” della P4 di Bisignani e Letta ancora non era esplosa e da Napoli trapelò la notizia di Tremonti sentito per l’inchiesta Viscione-Milanese. La figura del consigliere politico del ministro cominciava a essere ingombrante, ma Tremonti fece finta nulla. Perché?
Un interrogativo ancora più attuale dopo gli sviluppi dell’indagine che hanno portato alla richiesta d’arresto per Milanese e all’affaire della casa di via Campo Marzio. Qual è il legame profondo tra i due? Sull’origine dei loro rapporti esistono varie versioni, ma tutte riconducono al passato di finanziere dell’uomo di Cervinara, in provincia di Avellino.
Un deputato berlusconiano che conosce bene entrambi riassume: “Ogni commercialista che si rispetti ha i suoi agganci nella Guardia di Finanza”. Evidente il riferimento alla professione del ministro. Ma poi? In Parlamento, il gruppone del Pdl non ha mai avuto contatti diretti con “l’inarrivabile Giulio, scontroso e altezzoso”.
Per deputati e senatori gli uomini del ministero di via XX Settembre cui far pervenire suppliche e richieste di ogni genere sono sempre stati due: il capo di gabinetto Fortunato e il consigliere politico Milanese, a sua volta deputato e molto legato al coordinatore del Pdl campano Nicola Cosentino, che di Tremonti è stato sottosegretario prima di dimettersi perché inquisito per camorra.
In questi anni non sono mancate a Montecitorio strane allusioni su “Giulio e Marco”, al punto che Milanese si è guadagnato il perfido nomignolo di “cameriera di Tremonti”. Dice un altro parlamentare: “Marco ha un carattere opposto a quello del ministro. È sempre molto disponibile e simpatico e cerca di venire incontro a ogni richiesta”. Milanese e Tremonti: una relazione d’amicizia diventata poi triangolare quando l’inseparabile consigliere ha lasciato la moglie e si è fidanzato con la portavoce del ministro, Manuela Bravi. A Montecitorio questo incrocio di rapporti è noto come “il clan Milanese”.
Oggi, il “clan Milanese” ha infilato Tremonti nella fase più critica della sua parabola politica. Lo spettro di Scajola incombe su di lui e ad allontanarlo almeno per il momento è la situazione dei mercati, che ieri di fronte alla voce di possibili dimissioni del ministro hanno ballato per tutta la mattinata. Come se il divo Giulio fosse prigioniero contro la sua volontà.
Un prigioniero debole e isolato. Nel governo ormai nessuno lo sopporta più, per la successione al Cavaliere è in corsa sempre più Alfano (ieri il premier lo investito a candidato nel 2013) e nella Lega domina la linea di Roberto Maroni, l’anti-Tremonti per eccellenza. A sinistra poi la sponda con il segretario del Pd Bersani è franata da un mese, dopo la rivoluzione delle urne amministrative e referendarie.
Insomma, il ministro dell’Economia, fino a un anno fa indicato come il salvatore della patria, non ha più un orizzonte. Per la gioia, come ha scritto ieri Dagospia, della filiera Berlusconi-Bisignani-Letta. In questo clima ieri Tremonti ha avuto un lungo incontro con Silvio Berlusconi, all’indomani dello scontro sulla norma salva-Fininvest nella finanziaria, tolta su pressione del Quirinale.
Da Palazzo Grazioli riferiscono che il premier avrebbe comunque “blindato” il ministro, in considerazione della crisi internazionale perché il rischio “sarebbe di finire come Atene”. A tavola, all’ora di pranzo, si è seduto pure Gianni Letta, nella doppia veste di sottosegretario di Palazzo Chigi e “ambasciatore” del Colle, preoccupato per una manovra lasciata a metà in caso di dimissioni di Tremonti (che ieri peraltro è stato nominato coordinatore dei ministri dell’Economia del Ppe).
Di qui l’ipotesi di una tregua che potrebbe durare fino all’approvazione della finanziaria. E dopo? Tutto è possibile. Anche perché ieri tra Berlusconi e Tremonti c’è stato solo gelo e rancore, costretti a parlarsi in nome dell’interesse nazionale come chiesto dal capo dello Stato. Il ministro avrebbe minacciato di nuovo le dimissioni.
Sia per le polemiche sul “Frodo Mondadori”, sia per l’intervista di B. a Repubblica in cui il Cavaliere dice: “Tremonti si crede un genio e considera tutti gli altri stupidi. Lo sopporto perché lo conosco da tempo. È l’unico che non fa il gioco di squadra. Ma tanto dove va?”. Senza contare il Giornale. Ieri due attacchi in prima pagina: “La casa gratis di Tremonti” e “La rivoluzione liberale non si fa perché Tremonti è socialista”.
La rottura tra il mondo berlusconiano e il ministro ormai è totale. Resta da capire quando ci sarà l’atto finale e se l’ambizioso Tremonti ha davvero intenzione di mollare tutto, consapevole che le dimissioni sarebbero anche un gesto per difendersi dalle accuse sulla casa pagata da Milanese. Ieri una delle poche note di consolazione gli è arrivata da Umberto Bossi, che sembra aver smaltito le tensioni sulla manovra: “Tremonti è una brava persona, è capace ed è un mio amico”.
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