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Treni, Ntv: Montezemolo e Della Valle con il paracadute

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ROMA (WSI) – Si tratta di una cattiveria senza fondamento quella secondo cui Diego Della Valle avrebbe chiesto a Matteo Renzi il salvataggio statale del treno Italo per salvare i soldi suoi e dei suoi amici e soci, Luca Cordero di Montezemolo e Gianni Punzo. La prova che li scagiona è scritta nei bilanci: i tre fondatori della Nuovo Trasporto Viaggiatori (Ntv) non rischiano quasi niente.

Per essere più precisi, del miliardo di euro circa oggi in pericolo (tra capitale e finanziamenti bancari), i tre perderebbero nella peggiore delle ipotesi 9-10 milioni a testa, che è quanto risulta effettivamente investito dai bilanci. La vera posta in gioco è una brutta figura, ma come dice il saggio, e come la biografia di Montezemolo testimonia, di brutte figure non è mai morto nessuno.

Così – proprio nel momento in cui la Fiat accompagna il declino del cosiddetto capitalismo di relazione scoprendo dopo 40 anni, per bocca di Sergio Marchionne, che Montezemolo “non è indispensabile” e che lo si può far fuori dalla presidenza della Ferrari – le drammatiche traversie di Italo fanno scoprire a noi che questo non è nemmeno capitalismo di relazione. Piuttosto relazioni e affari senza capitali.

[ARTICLEIMAGE] La storia di Ntv sembra fatta per dare ragione a Renzi che ha disertato il Forum di Cernobbio preferendo andare a Brescia “dove le imprese investono davvero”. Lasciamo per un momento da parte il contenzioso tra Ntv e Fs e le vibrate, comprensibili proteste di Della Valle contro il monopolista pubblico, che nella competizione sui treni ad alta velocità è arbitro e giocatore al tempo stesso. Anche questo dovrebbe far parte del rischio d’impresa, come la grandine, la decisione del popolo italiano di non viaggiare più, un imprenditore che, hai visto mai, sbaglia i piani e le previsioni.

Il punto che ci racconta molto sul declino italiano è che oggi Della Valle, Montezemolo e Punzo hanno il 33,46 per cento delle azioni di Ntv, e quindi incasserebbero il 33,46 per cento dei profitti se gli affari andassero bene. Mentre se, come appare oggi possibile, le cose andassero a gambe all’aria non ci rimetterebbero niente e i danni si abbatterebbero sui mille dipendenti innanzitutto, e poi delle banche che, chissà perché, hanno accettato di mettere quasi tutto il capitale di rischio.

Cosicché i profeti dell’impresa privata all’italiana, dopo aver tuonato per decenni contro le imprese statali proprio quando con esse chiudevano lucrosi affari a spese dei contribuenti, nel terzo millennio hanno trovato nelle banche – grazie alle relazioni – un nuovo socio dormiente e generoso che consente loro di fare gli imprenditori coi soldi degli altri.

Le premesse della crisi di Ntv, della quale gli stessi azionisti mettono in dubbio la sopravvivenza, le ha ricostruite due anni fa Gianni Dragoni in un libro profeticamente intitolato Alta rapacità. Lì si può rileggere l’autodifesa di Della Valle, intervenuto telefonicamente nella trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro il 22 dicembre 2011.

Riferendosi agli aumenti di capitale con cui i tre fondatori avevano imbarcato in Ntv la banca Intesa Sanpaolo, le Assicurazioni Generali, le ferrovie francesi (Sncf) e le famiglie Bombassei e Seragnoli, il patron della Tod’s dice: “Secondo il giornalista che ha parlato, noi abbiamo fatto una speculazione un po’ furba, secondo me abbiamo sacrificato buona parte di un possibile utile che forse avremmo fra qualche anno se tutto andrà bene”.

Poi rivendica che comunque gli imprenditori privati si sono accollati un bel rischio: “Siamo noi che andiamo a comprarci dei treni rivolgendoci a delle banche, mettendo delle firme e queste cose se vanno male uno poi le deve pagare”. Adesso scopriamo invece che il problema è delle banche.

All’inizio, nel 2006, Della Valle, Montezemolo e Punzo, insieme allo storico manager ferroviario Giuseppe Sciarrone, costituiscono Ntv con un milione di capitale. Oggi le tre holding a cui fa capo la quota dei fondatori (Mdp 1, Mdp 2 e Mdp 3) hanno in tutto 270 mila euro di capitale, 90 mila a testa. Nel 2007, a soli sei mesi dalla costituzione di quella che restava una scatola vuota, il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, concede a Ntv l’accreditamento come gestore di treni alta velocità.

È l’epoca d’oro di Intesa, ispirata nel ruolo di “banca Paese”. Il presidente Giovanni Bazoli traccia il solco, l’amministratore delegato Corrado Passera lo difende a colpi di operazioni spericolate. Come in Ntv così nella nuova Alitalia di Roberto Colaninno, la banca mette il capitale di rischio da una parte ed elargisce generosi finanziamenti dall’altra.

Così da ritrovarsi poi, in Alitalia come in Ntv, creditrice insoddisfatta e debitrice insolvente al tempo stesso. Così il 24 giugno 2008, lo stesso giorno, Intesa compra azioni Ntv per 60 milioni con una mano e firma con l’altra mano un contratto di finanziamento da 732 milioni, ciò che serve a comprare i 25 treni superveloci dalla francese Alsthom.

l credito bancario consente ai fondatori di far salire ulteriormente il valore alla società, da 300 a 400 milioni. Bombassei e Seragnoli pagano 20 milioni a testa per un 5% ciascuno, Generali paga 60 milioni per il 15%. Poi arrivano i francesi di Sncf, che pagano più di tutti: 84 milioni per il 20%, pari a un valore totale della società di 420 milioni.

Per questi aumenti di capitale i tre fondatori hanno venduto anche le opzioni ai nuovi soci, incassando 24 milioni circa che sono stati reinvestiti. Solo alla fine hanno dovuto mettere mano al portafoglio per partecipare alla ricapitalizzazione da 85 milioni fatta tra 2013 e 2014 per tamponare perdite superiori al previsto: il 33 per cento di 85 milioni fa 28 milioni, cioè 9 milioni a testa per i tre fondatori. Investendo una trentina di milioni, Della Valle, Montezemolo e Punzo hanno avuto il comando su un’operazione da un miliardo. Il solito 3-5 per cento, il motore immobile del capitalismo di relazione.

Se oggi il governo deve fare i conti con il salvataggio di Italo, non è per la concorrenza. Sono in gioco i crediti delle banche più esposte. Intesa in testa, con 400 milioni, seguita a ruota dal Monte dei Paschi con 175 milioni, dal Banco Popolare con 95, Bnl Paribas con 18 milioni. Qualcuno potrebbe chiedersi con quanta prudenza presta i soldi a Ntv proprio il Banco Popolare guidato da Pier Francesco Saviotti – legato a Della Valle via Tod’s e consulente dell’operazione treni dal primo giorno – o la Bnl presieduta da Luigi Abete, amico per la pelle di Della Valle e Montezemolo.

Ma è inutile interrogarsi sui conflitti d’interesse nel capitalismo di relazione. Purtroppo i fatti degli ultimi anni dimostrano che i nostri grandi banchieri, da Passera a Giuseppe Mussari del Monte dei Paschi, passando per tutti gli altri, sono perfettamente in grado di perdere miliardi senza bisogno dei conflitti d’interesse. A mano libera, per così dire.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Fatto Quotidiano – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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