La guerra commerciale ha inizio: come nelle attese, il presidente statunitense Donald Trump ha approvato dazi su una lunga lista di prodotti Made in China per un valore di circa 50 miliardi di dollari. La conferma arriva dal Wall Street Journal, che ha spiegato però come non sia ancora chiaro quando la stretta entrerà in vigore.
La decisione – presa per punire Pechino accusata di rubare tecnologie alle aziende Usa e di violare i diritti sulla proprietà intellettuale – sarà annunciata nelle prossime ore e rischia di scatenare una guerra commerciale tra Usa e Cina senza precedenti e dagli esiti imprevedibili.
Come si legge sul quotidiano economico, la mossa di Trump è arrivata dopo vero e proprio vertice con i suoi più stretti consiglieri della Casa Bianca e con alcuni dei massimi responsabili della sicurezza nazionale, del Tesoro e del dipartimento al commercio.
Una riunione durata circa 90 minuti in cui sono state confermate tariffe del 25% su un lungo elenco di beni che la Cina esporta in Usa e che verrà resa nota nelle prossime ore. La lista stilata riguarda 800 prodotti contro i 1.300 categorie stimati la scorsa settimana, a partire da quelli tecnologici.
Ma non finisce qui. Donald Trump ha già minacciato dazi su altri 100 miliardi di dollari di prodotti cinesi, oltre a una stretta sugli investimenti di Pechino negli Usa che dovrebbe essere annunciata il 30 giugno.
Non si è fatta attendere la risposta della Cina. Pechino ha fatto sapere che risponderà velocemente alle nuove misure per proteggersi dalla mossa americana che va a colpire al cuore la sua economia. che tanto dipende dalle esportazioni di merci a basso costo.
La notizia sulla nuova stangata cinese è arrivata in contemporanea all’allarme del Fondo Monetario Internazionale, che, nell’analisi annuale condotta dall’istituto di Washington sull’economia Usa, si è spinta fino a citare il rischio di una possibile recessione. Il messaggio è che l’insieme dato dal taglio alle tasse e dall’aumento della spesa pubblica “causeranno un rialzo del deficit federale oltre il 4,5% del Pil entro il 2019. Si tratta di quasi il doppio rispetto al deficit di solo tre anni fa”.
Secondo gli esperti dell’Fmi,
“una politica fiscale prociclica cosí forte è abbastanza rara nel contesto americano e non si è vista sin dall’amministrazione Johnson negli anni ’60”. Essa “aumenterà i rischi per gli Stati Uniti e l’economia globale”.
L’analisi dell’Fmi cita vari rischi a cominciare da un più alto debito pubblico (che è già “insostenibile” ed è visto superare il 90% del Pil entro il 2024). C’è poi una possibile sorpresa sul lato dell’inflazione, che potrebbe crescere più rapidamente delle stime.
Per altro, le stime di crescita dell’istituto di Washington sono più conservative di quelle della Casa Bianca. Con il venire meno, dal 2020, dell’effetto positivo dato dagli stimoli fiscali Usa, la crescita americana secondo il Fondo rallenterà a un +1,4% nel 2023 contro il +1,8% previsto dalla Federal Reserve e la promessa di Trump di un +3%.
Non è poi mancato un riferimento alla guerra dei dazi innescata dagli Usa. Il Fondo monetario internazionale boccia la politica commerciale americana e torna a invitare gli Stati Uniti e i suoi partner “a lavorare insieme in modo costruttivo per ridurre le barriere commerciali e per risolvere i disaccordi commerciali e sugli investimenti senza ricorrere a dazi e ad altre misure”.