Economia

Trump, dal Ttip al tramonto dell’asse atlantista: al G7 ha vinto lui

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Prima dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, le relazioni economiche fra Usa e Ue navigavano verso l’obiettivo di una crescente integrazione dei mercati americano ed europeo sotto l’egida del nascente Ttip. Meno di due anni più tardi lo scenario è del tutto capovolto: l’oggetto del contendere non è più l’abbattimento delle restanti barriere commerciali, tariffarie e non, bensì come gestire una possibile escalation protezionistica innescata dalle politiche dell’amministrazione Trump.

Secondo il presidente americano, gli squilibri della bilancia commerciale americana vanno mitigati alzando barriere doganali, e favorendo la produzione interna di beni strategici come acciaio e alluminio; l’Unione Europea, dal canto suo, si vede costretta a sanzionare questo comportamento adottando contromisure dello stesso tipo su 7,5 miliardi di importazioni dagli Stati Uniti.

Il Ttip non è mai stato particolarmente popolare né in Europa né in America e ormai sembra superato in modo irreversibile dalla storia delle ultime settimane. Secondo l’editorialista del New York Times, David Leonhardt, l’esito della politica commerciale di Trump sta, volente o nolente, disgregando l’alleanza atlantica che ha caratterizzato tutta la storia del secondo dopoguerra.

Se la strategia ispiratrice del Ttip consisteva in un rinsaldamento delle economie più avanzate in un’alleanza in grado di contrastare il potere delle economie emergenti, adesso gli Stati Uniti avrebbero scelto una strada ben diversa.

L’America (“first”) di Trump, infatti, sembra determinata a fare leva sulla condizione di importatore netto in cui si trovano gli Usa, usando il vasto mercato interno americano come una potente arma negoziale. Innalzando barriere d’accesso a questo mercato, le economie che prosperano sulle esportazioni ne usciranno ne avranno il danno maggiore.

Naturalmente, indagare a fondo le implicazioni di questa nuova fase delle relazioni internazionali nel gruppo dei 7 richiederebbe un’analisi più sofisticata. Una possibile rottura americana con i partner europei, infatti, trascende la pura economia internazionale e apre il campo alle speculazioni geopolitiche.

Detto questo, va riconosciuto che Trump è riuscito a fare cadere qualche maschera del libero commercio, sfidando lo status quo: non è un caso che nell’immagine pubblicata dal governo federale tedesco che ha fatto il giro del mondo e che lo ritrae accerchiato al tavolo dei negoziati (vedi foto in alto), si nota a un primo sguardo la sua grande influenza sul resto dei presenti: è lui l’uomo al centro dell’attenzione a cui rivolgono lo sguardo gli altri leader mondiali.

Secondo Leonhardt, pur essendo un istintivo Trump ha una strategia ben chiara e potrebbe avere in mente un “piano segreto per dividere l’Occidente” che porterebbe “gli Stati Uniti in cerca di nuovi alleati in sostituzione di quelli scartati”, avvicinando l’America alla Russia, e “intromettendosi nella politica interna di altri paesi per installare nuovi governi che rigettano anche la vecchia alleanza” atlantista.

“È impossibile entrare nella testa di Trump e divinizzare i suoi obiettivi strategici, sempre che abbia obiettivi a lungo termine”, commenta Leonhardt, “Ma mettiamola così: se un presidente degli Stati Uniti dovesse abbozzare un piano segreto e dettagliato per spezzare l’alleanza atlantica, quel piano avrebbe una somiglianza sorprendente con il comportamento di Trump”.