Oggi sul Il Sole 24 ore un’analisi di Walter Riolfi, dal titolo auto-esplicativo “Il mercato guarda a Trump”, afferma che i mercati, accecati in questa fase dalle suggestioni offerte dalla presunta rivoluzione economica promessa da Donald Trump, guardano molto più alla politica economica che a quella monetaria.
Ieri Morya Longo, dallo stesso giornale registrava che i tanti investitori che stanno spostando i capitali dall’esausta Europa all’altra sponda dell’Atlantico,… sembrano infatti crederci davvero: gli Stati Uniti, grazie alla turbopolitica fiscale di Donald Trump, possono tornare a trainare la crescita economica globale.
Potrei andare avanti con altre citazioni giornalistiche, e non, dallo stesso tono. Purtroppo si tratta di un abbaglio che continuano a prendere sia i mercati che i media, che si autoalimentano a vicenda in questo malinteso, che è sconfessato teoricamente e dalla storia.
Vediamo perché.
Il grande sociologo Niklas Luhmann affermava che la società moderna è caratterizzata da un insieme di sistemi sociali senza alcuna gerarchia tra loro. Essi certamente interagiscono (in accoppiamento strutturale) ma hanno capacità autonome di sviluppo (autopoiesi). Ciò si traduce in una chiusura operazionale ovvero che ogni sistema ha la sua modalità di sviluppo che dall’esterno certamente può essere “irritata” e perturbata ma non controllata e dunque con effetti imprevedibili. Dunque la politica, che non è a capo della gerarchia sociale (checché lei sostenga), certamente può fare qualcosa per l’economia, ma gli effetti su di essa, non essendo pilotabile dall’esterno, saranno imprevedibili, fino ad essere a volte contrari alle intenzioni dell’intervento.
Se la teoria non bastasse, vengono in soccorso al sostegno della nostra tesi le cronache; in particolare proprio quelle americane.
Michael Hasenstab, dalle pagine del New York Times, invita a ricordare ciò che è accaduto in Argentina in virtù di un interventismo eccessivo da parte dell’amministrazione Kirchner. Protezionismo commerciale, politica della banca centrale allentata, legislazione oppressiva del governo e una allegra spesa pubblica, esattamente ciò che vuole fare Trump, hanno portato alla distruzione dell’agricoltura e dell’industria, che si voleva aiutare, a guerre commerciali con 40 paesi, e conseguente penuria di beni da loro importati, e perdita di investimenti, prima, e produzione, poi.
Si dirà: “ma l’Argentina non sono gli USA”
Allora leggiamo Greg Ip che dal Wall Street Journal ci ricorda i tentativi del presidente Johnson che per fermare l’aumento dell’inflazione nella metà degli anni ’60 intervenne su tutto: dal prezzo delle scarpe a quello dei televisori arrivando a fare campagne pubblicitarie contro il colesterolo quando pure le uova aumentarono di prezzo. Purtroppo per lui l’inflazione continuò a crescere.
Trump, nei suoi tentativi di proteggere la manifattura, vuole agire in modo analogo ma, come ricorda l’autore dell’articolo, se la “forza di gravità” dell’economia spinge in una certa direzione, nemmeno un presidente può fermarla.
Non è questo il luogo per un dibattito approfondito su cosa allora fare, che di sicuro dovrà essere più sofisticato di ciò che i politici vogliono fare. Certamente, però, si può lanciare un appello su cosa NON fare. La politica ha tutto l’interesse a far ancora credere che spingendo un bottone, o più bottoni secondo una speciale combinazione che solo lei ha trovato, accada esattamente ciò che si vuole. Ma perchè devono continuare a crederci i giornalisti, invece di sfidare i politici a dare spiegazioni che non sapranno dare, e i mercati, invece di occuparsi dei fondamentali dell’economia che sono rappresentati dalle prestazioni delle singole aziende?