Neppure il tempo di prendere atto dei risultati elettorali Midterm, che Donald Trump torna subito all’attacco. Ieri il presidente Usa ha licenziato il ministro della Giustizia Jeff Sessions, che si è subito dimesso con effetto immediato.
Nel frattempo, Trump ha nominato come procuratore generale provvisorio Matthew G. Whitaker, già capo dello staff di Sessions, e ritenuto molto fedele al presidente e critico nei confronti del lavoro svolto dal superprocuratore Robert Mueller sul Russiagate.
Sessions, senatore repubblicano dell’Alabama, fu uno dei primi sostenitori di Trump nel 2016, è nel mirino del presidente da mesi, da quando ha annunciato la sua astensione alle indagini sul Russiagate. Una mossa che non è andata giù al tycoon, che ha approfittato dell’aumento del potere al Senato per infliggere il colpo.
Trump aveva detto ieri di considerare “normale” un rimpasto dopo il voto e l’uscita di Sessions era data per certa da tempo dai media, con un punto interrogativo sulla tempistica.
“È solo l’inizio”. Minacce anche ai Democratici
Secondo le indiscrezioni stampa questo è solo l’inizio. Dopo il licenziamento di Sessions, seguiranno molte altre uscite nei prossimi giorni per quello che si preannuncia come un profondo rimpasto della squadra di governo e dello staff della Casa Bianca.
La prossima testa a cadere potrebbe essere quella di Rod Rosenstein, il vice ministro della Giustizia, che è stato finora il responsabile delle indagini sul Russiagate vista l’astensione di Sessions in merito
Alcuni parlano di blitz contro Mueller anche prima dell’inizio della prossima legislatura, nel timore che il superprocuratore, superata la scadenza elettorale, tiri fuori un dossier giudiziario contro di lui.
Inoltre Trump ha minacciato anche i Democratici: se rafforzano i controlli sulla sua amministrazione dovranno vedersela con contro indagini sul loro conto, che possono essere avviate dai Repubblicani al Senato.
Il presidente dice che i Dem potrebbero per esempio essere indagati per la divulgazione non consentita di informazioni riservate. Trump non ha però offerto delle prove a confutazione delle accuse velate mosse contro il partito rivale.