ROMA (WSI) – Continua ad essere alta l’attenzione sul Ttip, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimento, tra Usa ed Europa che prevede la libera circolazione delle merci nei rispettivi mercati, abbattendo i dazi ossia le barriere economiche ma non quelle tariffarie.
I promotori della campagna Stop Ttip Italia puntano il dito contro il governo o meglio contro Carlo Calenda, ministero dello sviluppo economico, colui che ha preso il posto della missionaria Federica Guidi che sembra aver sostenuto, carte alla mano, dinanti all’Ue la proposta di forzare la ratifica del trattato.
“Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, sembra mettere in scena il suo solito copione: quello del valletto fidato della Commissaria europea al Commercio Cecilia Malmström (…) mentre altri governi dell’Unione, come Lussemburgo e Francia, rivendicano il potere di ratifica dei propri Parlamenti nazionali sui trattati commerciali misti (che riguardano il commercio ma anche la regolamentazione) come il CETA con il Canada e il TTIP con gli Usa, Carlo Calenda sostiene la Commissione europea nella richiesta che la partita si giochi tutta a Bruxelles e le Assemblee degli Stati membri non possano avere voce in capitolo”.
A documentare la presa di posizione del ministro italiano Carlo Calenda, la testimonianza di un diplomatico europeo che avrebbe raccolto l’agenzia Reteurs e che rendono noto i promotori della campagna No Ttip.
“Calenda ha sostenuto, con un documento presentato a nome del governo italiano, che l’Italia è favorevole a tagliare fuori e il suo Parlamento e quelli di tutti gli Stati dell’unione dal processo di ratifica. Un atto gravissimo. Riteniamo inaccettabile escludere dal processo i parlamentari nazionali, molti dei quali, dopo essere entrati per la prima volta nella sala di lettura del Ttip in Italia, hanno espresso gravi preoccupazioni”.
La domanda lecita che si pongono i promotori è se i Parlamenti – che rappresentano la popolazione – debbano essere privati del diritto di potersi esprimere su temi così delicati.
“Nel mandato negoziale definito nel 2011, i governi dell’Ue hanno sottolineato che il CETA non può essere considerato un accordo su cui la Commissione possa vantare competenza esclusiva. In tema di investimenti, ad esempio, soprattutto per quanto riguarda la temibile clausola ISDS, la competenza dev’essere mista, cioè prevedere la ratifica di tutti i Parlamenti degli stati membri. Circa 42 mila aziende già operanti nell’Unione fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada. Queste imprese potrebbero intentare cause agli stati per conto degli Stati Uniti senza che il TTIP sia ancora entrato in vigore. Basterà ratificare il CETA. Davvero i nostri Parlamenti devono essere privati del diritto di esprimersi su temi tanto sensibili?
Infine un appello dei promotori del No al Ttip al parlamento italiano che ascolterà il ministro Calenda il prosismo 15 giugno alla camera dei Deputati.
“Esortiamo i parlamentari italiani, a prescindere dai propri schieramenti, ad uno scatto di orgoglio. Chiedano conto e ragione di questa scelta che limita le loro prerogative parlamentari e comprime la sovranità nazionale ben oltre quanto stabilito dal trattato di Lisbona. I nostri rappresentanti sono chiamati a difendere la piena autonomia del loro ruolo di fronte al sorgere di questi grandi accordi internazionali, che minacciano di cambiare irreversibilmente il sistema decisionale e l’architettura della regolamentazione in tema di produzione e distribuzione di merci e servizi”.
Fonte: RedattoreSociale