Economia

TTIP: se minaccia democrazia, lasciamolo morire

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NEW YORK (WSI) – Se rappresenta una minaccia per la democrazia parlamentare e la sovranità nazionale dei singoli stati dellEuropa, allora sarebbe meglio “lasciare morire” sul nascere il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti. L’accordo vive un periodo molto difficile, tra contestazioni in Germania e in Italia – il 7 maggio si terrà a Roma la manifestazione nazionale contro il TTIP – e il no delle autorità politiche della Francia.

Così com’é, secondo il presidente Francois Hollande, il trattato non può essere firmato. Dalle rivelazioni di Greenpeace, i cosiddetti TTIPLeaks, che hanno reso pubbliche 248 pagine della bozza top secret sulle trattative in corso sul trattato controverso, è emerso che violare gli impegni presi dall’Europa in materia di protezione dell’ambiente e della salute.

Questo mentre in Olanda il popolo ha raccolto ben 100 mila firme per chiedere un referendum sul Trattato, che anche se venisse approvato dai leader di Ue e Usa dovrebbe superare lo scoglio parlamentare dei singoli Stati Ue. Questo prima che uscissero i Leaks di Greenpeace sul Transatlantic Trade and Investment Partnership.

Secondo l’editorialista del Telegraph Ambrose Evans-Pritchard, il TTIP creerebbe il più grande blocco di libero scambio al mondo, ma avrebbe un costo per i cittadini in termini di salute e lavoro. L’eurodeuptata Tiziana Beghin del MoVimento 5 Stelle, intervistata qualche settimana fa da Wall Street Italia, teme che un accordo del genere rompa gli equlibri mondiali e, acuendo le tensioni con Cina e Russia, rischi di ricreare un clima da Guerra Fredda.

TTIP: il reddito medio degli europei è già in discesa per via della globalizzazione e della crisi

Il gioco (+0,5% del Pil) non vale la candela

In Francia e Germania i tassi di approvazione del trattato sono ai minimi storici (13% e 17%, rispettivamente). A mala pena la metà dei tedeschi interpellati, forse per paura rimanere senza un’occupazione e vedere abbassati i propri salari e potere d’acquisto, ritiene che il libero scambio in sè sia una buona cosa, un risultato incredibile per un paese industriale che ha vissuto di esportazioni.

Per come è stato concepito e per come è stato promosso, il TTIP ha insospettito il pubblico e persino una parte della classe politica fin dai suoi albori, per via della sua mancanza di trasparenza e per via del lobbismo che c’è dietro. Solo i parlamentari tedeschi hanno potuto leggere in anteprima il documento e lo hanno dovuto fare a porte chiuse.

La paura di associazioni per la difesa dell’ambiente, di sindacati e di altri gruppi contrari al trattato è che il TTIP finisca per favorire le multinazionali alle spese dei consumatori, che dovranno rinunciare a principi quale la difesa dell’ambiente e della propria salute, senza contare il rischio che corrono di perdere il posto di lavoro.

L’opinione di Ambrose Evans-Pritchard è che sia “un’eresia nell’era liberale attuale – un peccato contro le ortodossie di Davos – mettere in questione le premesse del libero scambio”, ma un simile rifiuto del progetto del TTIP in Europa potrebbe “essere come una benedizione sotto mentite spoglie”.

Le ultime previsioni primaverili della Commissione Europea hanno dedicato una sezione intera all’incremento delle disuguaglianze di reddito e sociali in Europa. “È un fatto innegabile che l’impoverimento della classe operaia europea sia arrivato esattamente con l’avvento della globalizzazione“.

Nonostante la ripresa la disoccupazione giovanile è al 51,9% in Grecia, al 36,7% in Italia, al 45,5% in Spagna e al 24% in Francia. Il rapporto della Commissione mostra che chi ha un reddito sotto il 40% della mediana dell’area euro ha subito un calo del 14% degli stipendi dalla scoppio dalla crisi finanziaria iniziata con il crac di Lehman Brothers.

Chiaramente hanno pesato le manovre “offshore” e delocalizzanti delle grandi multinazionali negli ultimi anni. Il report dice che i grandi gruppi occidentali hanno potutto abbassare le condizioni di lavoro e gli stipendi in patria, potendo contare sulla manodopera a basso costo in Cina, in Europa dell’Est e negli altri paesi in via di Sviluppo.

“Il fallimento della globalizzazione non è solo politico”, denuncia l’opinionista: l’ampliamento delle disuguaglianze ha impoverito le economie e non solo la gente meno benestante e fortunata. I soldi hanno smesso di circolare: i risparmi finiscono per essere in eccesso, i consumatori rimandano le spese in attesa di tempi migliori e inflazione ancora più bassa.

Anche se il trattato aumentasse il Pil dello 0,5% come sostiene Bruxelles, non è un miglioramento tale da rinunciare al controllo democratico delle leggi, dei principi e degli stili di vita a cui gli europei sono abituati. Il gioco non vale la candela.

Fonte principale: The Telegraph