La lira turca ha sperimentato un nuovo minimo storico sul dollaro a quota 0,20827. La svalutazione è tale da aver spinto la banca centrale a incoraggiare l’indebitamento nella moneta con la quale si viene pagati, al fine di evitare sensibili variazioni sul peso del debito conseguenti a ulteriori ribassi nel tasso di cambio della moneta nazionale. Il monito, scrive Bloomberg, arriva in ritardo rispetto alle mosse già compiute dalle società energetiche turche che potrebbero presto ritrovarsi a realizzare meno utili rispetto quanto dovuto per ripagare i debiti contratti in valuta estera, ha avvertito l’Associazione dei produttori di elettricità basata ad Ankara.
A due settimane dalla rielezione di Recep Tayyip Erdogan alla presidenza della Turchia, Paese il cui assetto istituzionale è stato recentemente riveduto in chiave presidenziale sulla spinta dello stesso Erdogan, il timore dei mercati è che l’economia turca possa decisamente virare verso il surriscaldamento. Un primo eloquente segnale arriva dall’inflazione, che ha raggiunto a giugno, dopo mesi di crescita, i massimi livelli da 14 anni, al 15,4%. Nel frattempo il tasso di cambio ha continuato a perdere quota sul dollaro: negli ultimi sei mesi la caduta della lira turca è stata circa del 22%.
Emergono poi, timori nella gestione della politica monetaria, se si considera che un nuovo decreto consentirà al presidente di nominare direttamente il governatore della banca centrale. A questa novità si è aggiunta, a stretto giro, la nomina del genero di Erdogan a capo del ministero delle Finanze.
Secondo Rob Drijkoningen e Kann Nazli (rispettivamente senior portfolio manager e senior economist presso Senior Portfolio Manager presso Neuberger Berman) l’economia turca, che fin qui ha sperimentato una decisa espansione economica con tassi superiori al 7% dovrà necessariamente raffreddarsi per mitigare gli squilibri economici che sono venuti a crearsi:
“Il deficit delle partite correnti si è ampliato ulteriormente”, hanno scritto in una nota congiunta, 2in parte a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio e in parte perché gli investimenti diretti esteri rimangono bassi e coprono appena il 15-20% del disavanzo rispetto a un livello medio dell’80% circa degli altri Paesi dell’Europa centrale e orientale. Questi squilibri hanno creato tensioni nel settore degli investimenti, alimentando il ribasso della lira e costringendo la banca centrale ad alzare i tassi di 5 punti percentuali nell’intento di contenere l’inflazione. (…) Ci aspettiamo che la banca centrale continui ad attuare una politica monetaria restrittiva, per riacquistare una certa credibilità. Il recente rialzo dei tassi dovrebbe innescare un notevole rallentamento nel secondo semestre”.
Nonostante una visione ancora positiva sui bond turchi (denominati sia in lire sia in valuta estera) Nazli e Drijkoningen ritengono che la lira turca “potrebbe rimanere vulnerabile nella fase di nomina dei nuovi ministri e in caso di potenziali passi falsi del governo sul fronte della comunicazione”.