ROMA (WSI) – Di fatto è diventata una sorta di tassa sulle vacanze, con i turisti che contribuiscono a rimpinguare le casse comunali di città d’arte famose come di Comuni più piccoli.
Parliamo della cosiddetta “tassa di soggiorno”, introdotta nel 2011 e che nel 2013 ha fatto avuto un vero e proprio boom. Infatti mentre prima ad applicarla erano solo una decina di Comuni in tutta Italia, quest’anno – complice la crisi e risorse agli enti locali sempre più ridotte all’osso – si è arrivati a 513.
La tassa prevede il pagamento da uno a cinque euro (a seconda della tipologia di albergo) per ogni giorno di permanenza. Pochi spiccioli per il singolo, che però si trasformano in milioni di euro. Secondo uno studio della Uil, il gettito nel 2012 è stato di 320 milioni di euro e le previsioni per l’anno in corso parlano di un aumento del 21,8% arrivando a sfiorare i 400 milioni. E sfuggire è difficile, considerando che la tassa riguarda anche sistemazioni più a basso costo rispetto all’albergo come campeggi, bed & breakfast e agriturismi.
Alle città che l’avevano introdotta fin dal 2011(tra cui Roma, Firenze e Venezia) se ne sono aggiunte molte altre di località turistiche termali, al mare o in montagna. Si va da Alberobello a Taormina, da Montecatini ad Aosta.
Le isole come Capri hanno invece adottato la tassa di sbarco (1,50 euro per ogni persona che approda sull’isola). Il gettito serve a finanziare interventi nel settore turistico, dei beni culturali e dei servizi pubblici locali. Introdotta con il decreto sul federalismo municipale, l’imposta è facoltativa e la sua introduzione passa attraverso un regolamento approvato dal consiglio comunale. E il gettito è garantito, specie nel caso delle città più famose: Roma nel 2012 ha recuperato 51,6 milioni di euro e Venezia 22,1 milioni.
Copyright © La Stampa. All rights reserved