Tutti i dietrofront di Lagarde: dalla gaffe sullo spread all’inflazione sottovalutata
La decisione della Bce di rialzare i tassi di 50 punti base nella riunione della scorsa settimana ha risollevato il dibattito sull’operato dell’istituto guidato da Christine Lagarde e sul tempismo delle sue mosse.
Alcuni operatori hanno criticato la decisione, sottolineando i rischi di un ulteriore aumento del costo del denaro in un contesto di crescita fragile e di instabilità del settore finanziario a livello globale, come dimostrato dai fallimenti delle americane Silicon Valley Bank e Signature Bank e dal salvataggio forzato di Credit Suisse.
Dall’altro, ci sono analisti ed esperti che difendono Lagarde e colleghi, evidenziando il coraggio di questa scelta che definisce chiaramente l’impegno a riportare sotto controllo l’inflazione, aggiungendo come la Bce sia in un certo senso “costretta” ad agire rapidamente per ridurre il gap con la Federal Reserve.
Quest’ultimo aspetto, però, rimarca il colpevole ritardo con cui la Bce ha cominciato a contrastare l’aumento dei prezzi, dopo mesi di attendismo che hanno aggravato la situazione.
Le colpe di Lagarde e della Bce sulla gestione dell’inflazione
Ad ammettere gli errori del passato è stata la stessa Christine Lagarde, al termine della riunione della Bce tenutasi l’8 settembre 2022.
La presidente si è assunta la responsabilità delle previsioni sbagliate sull’andamento dell’inflazione, esacerbata dagli strascichi del Covid, dallo shock dell’invasione in Ucraina e dai conseguenti provvedimenti che hanno provocato un innalzamento dei prezzi energetici.
Nella seconda metà del 2021 e per buona parte del 2022, la Bce è rimasta radicata nell’idea di un’inflazione temporanea e destinata a scendere, ritardando la fine dei piani di acquisto pandemici e il rialzo dei tassi, nonché sottovalutando in parte la svalutazione dell’euro.
La guerra, il cambio di rotta e lo scudo TPI
La guerra (uno shock difficilmente prevedibile) ha fornito un parziale alibi alla Bce, ma la svolta hawkish accelerata dal conflitto, con la fine del quantitative easing e dei tassi negativi, è stata ritenuta dai più tardiva, pesando sul giudizio complessivo in merito alla gestione della Lagarde.
A marzo 2022, poche settimane dopo l’invasione russa in Ucraina, la Bce ha annunciato l’intenzione di concludere più rapidamente del previsto il programma APP, uno scudo anti-spread che aveva difeso la stabilità finanziaria dell’Italia. Le rassicurazioni di Lagarde, volte a spiegare che non si trattasse di un’accelerazione della normalizzazione e a rimarcare il concetto di opzionalità in capo alla Bce, non hanno calmato i mercati.
Successivamente, a luglio 2022, il tasso sui depositi è stato alzato allo 0% e quello di rifinanziamento principale allo 0,5%, quando l’inflazione galoppava già all’8,9% nell’eurozona e negli Usa il costo del denaro raggiungeva il 2,5%. In parallelo, la Bce ha annunciato il TPI, un altro scudo anti-spread per garantire una trasmissione ordinata della politica monetaria in tutta l’area euro.
L’ultimo ritocco da 50 punti base ha portato il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 3,5% e quello sui depositi presso la banca centrale al 2,5%. Ricordiamo inoltre che da marzo di quest’anno e fino alla fine del secondo trimestre, la Bce ha iniziato a ridurre il portafoglio del programma di acquisto APP a un ritmo misurato e prevedibile, non reinvestendo tutti i rendimenti di capitale derivante dai titoli in scadenza.
La storica figuraccia sullo spread
L’aura di incertezza che circonda la Lagarde ad ogni comunicazione è soprattutto figlia della clamorosa gaffe del 2020, nel pieno dell’emergenza pandemica. In tale occasione, rispondendo ad una domanda sull’Italia, la presidente affermò: “Non siamo qui per ridurre gli spread, non è compito nostro” riferendosi all’allargamento dello spread Btp-Bund che aveva superato i 260 punti base.
Una dichiarazione che scatenò un vortice di polemiche e di vendite, portando Piazza Affari a chiudere quella seduta con un crollo storico del 16,9% e facendo ampliare il differenziale tra il decennale italiano e quello tedesco, nelle sedute successive, a oltre 300 punti base.
Un clamoroso autogol, amplificato dal divario col celebre “whatever it takes” del suo predecessore Mario Draghi, che costrinse Lagarde ad un imbarazzante dietrofront. “Sono piamente impegnata ad evitare qualsiasi frammentazione in un momento difficile dell’area euro. Gli spread elevati inficiano la trasmissione della politica monetaria”, disse nelle ore successive.
Nei giorni successivi la Bce annunciò anche il nuovo piano PEPP, QE pandemico, da 1.850 miliardi di euro per far fronte alle conseguenze dilaganti della pandemia di Covid-19.
Lagarde: “Affrontare l’incertezza per riportare inflazione al 2%”
Su un tema Christine Lagarde è stata assolutamente chiara: “conseguiremo la stabilità dei prezzi e non transigiamo sull’impegno a riportare l’inflazione al 2% nel medio termine”. Lo ha dichiarato lei stessa alla conferenza annuale The Ecb and Its Watchers XXIII del 22 marzo, aggiungendo che l’obiettivo verrà perseguito seguendo “una strategia solida, fondata sui dati e senza compromessi”.
La presidente ha poi citato Voltaire, affermando che “l’incertezza è una posizione scomoda. Ma la certezza è una posizione assurda”. A fronte di shock nuovi e sovrapposti, “affrontare l’incertezza è al momento la nostra unica scelta“.
Le scelte, come detto, dipenderanno dai dati. “Ciò significa che, ex ante, non siamo impegnati ad aumentare ulteriormente i tassi né abbiamo finito di farlo”. Ma al tempo stesso “se lo scenario di base delle nostre proiezioni più recenti sarà confermato, avremo ancora molta strada da fare – ha aggiunto – per assicurare che le pressioni inflazionistiche siano disinnescate”.