ROMA (WSI) – Riformare il catasto, moltiplicare asili e il tempo pieno per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, rivedere le esenzioni Iva, rendere più trasparenti i bilanci bancari e la governance del credito, flessibilizzare il mercato occupazionale, spostare «a saldi invariati» il gettito dal lavoro alle proprietà e ai consumi. Questo, e altro ancora, nelle raccomandazioni che la Commissione Ue farà oggi all’Italia per indicare la via dell’equilibrio dei conti pubblici e della competitività necessaria per tornare a crescere con vigore dopo anni di debolezza cronica. E’ un vero master plan di riforme e manutenzione dell’economia. «Una cura dura – dicono a Bruxelles -. Ma non c’è nulla che non sia davvero possibile».
E’ l’altra faccia di una luna illuminata dalla buona novella attesa in giornata, la chiusura della procedura di deficit eccessivo (Edp) in cui l’Italia si è ritrovata nel 2009 per aver gestito con leggerezza le sue casse pubbliche. Archiviato il 2012 col deficit al 2,9% del pil, il governo Letta ha persuaso la Commissione che il fabbisogno resterà sotto il 3%. «Non è un giudizio frutto di flessibilità extra – spiegano a Bruxelles -. Abbiamo solo applicato il Patto di stabilità».
In pratica, il rispetto del tetto di indebitamento annuo, abbinato al pareggio o quasi di bilancio in termini strutturali (al netto del ciclo), è la condizione per cui l’Italia può riprendere le redini della propria contabilità e non essere più ancorata a un piano di rientro concordato con l’Ue. Basta non sforare il 3% per avere nuovi margini di spesa. Non nel 2013, dove i margini sono stati mangiati dal pagamento del debito commerciale, quanto nel 2014. Qui c’è un obiettivo di un deficit all’1,8%. La differenza col 2,9 massimo ammesso, è ciò che si può recuperare. Sono i famosi 7-12 miliardi, a seconda delle fonti.
La fine dall’Edp è un segnale di fiducia nel governo Letta e un viatico per ridurre il costo del rifinanziamento dell’immenso debito pubblico (132% del Pil). Le raccomandazioni che arrivano in contemporanea sono un’altra cosa. Sono una sfida complessa per chi ha le casse quasi a secco, ma anche irrinunciabile per sciogliere le tensioni sociali provocate da recessione e disoccupazione.
Sei consegne. Si parte da deficit (che va bene) e debito (non va). Bruxelles suggerisce una nuova spending review per reperire margini di spesa. L’auspicato slittamento delle tasse dal lavoro a «consumi & proprietà» va concepito a saldi invariati: l’imposizione va basata su misure «meno ostative della crescita». Risultano dubbi sullo slittamento di Imu e Iva, ma non nel testo. Li avessero scritti, sarebbe rimasta l’Edp.
Tocca quindi alla pubblica amministrazione. Si evidenziano il sistema dei servizi che non va, la semplificazione del quadro amministrativo, il rafforzamento di quello legale. I processi civili vanno snelliti, come le regole per la creazione di imprese. Si chiedono misure efficaci contro la corruzione e la riorganizzazione del catasto in linea con i valori di mercato.
Le banche sono il terzo capitolo. E’ suggerita l’adozione di «pratiche di buona gestione», con bilanci più trasparenti per fare emergere chiaramente asset negativi e sofferenze. La governance appare complessa, e qui il riferimento è agli intrecci proprietari, dalle fondazioni in giù. Ragionamenti anche su accesso al capitali e al private equity, ostacoli non da poco. Per il lavoro si reclama ulteriore flessibilità, anche attraverso la localizzazione della contrattazione salariale. Segue l’appello per una formazione solida e minori disincentivi all’occupazione, con azioni su uffici di collocamento e «servizi extrascolastici», il che implica maggiore attenzione ai figli perché i grandi possano lavorare.
In parallelo, si denuncia la piaga dell’abbandono scolastico e i servizi sociali non sempre all’altezza della crisi. La quinta raccomandazione si collega alla prima, valuta il fisco e la sua sfera di competenza. Più su proprietà e consumi; meno lavoro. Bruxelles parla anche di esenzioni (Iva etc.) da esaminare. Il che conduce ai servizi, sesta voce della gran riforma per la competitività. Qui il dito indica i servizi da migliorare: interconnessioni, trasporti ed energia. Liberalizzazioni, insomma. Anche delle professioni. Bruxelles le invoca da tempo e ritiene che Roma non abbia fatto abbastanza. La crescita, assicura, arriva anche col mercato più aperto.
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