Mario Draghi presenta ufficialmente al pubblico il suo Rapporto sulla competitività europea, una sorta di compendio sul funzionamento dell’Unione europea, commissionatogli all’incirca un anno fa dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, con l’intento di comprendere come risollevare l’economia di Bruxelles.
Cinque i macro-capitoli che compongono il testo di Draghi e sono: produttività, riduzione delle dipendenze, clima, inclusione sociale e ricette per i singoli settori sulla base dei dieci principali dossier economici che riguardano l’Ue.
“Urgenza e concretezza sono due parole chiave del report” ha detto Mario Draghi sottolineando come il documento presenta circa “170 proposte”. “Non stiamo partendo da zero, voglio rassicurarvi”, ha aggiunto Draghi osservando come, come terzi pilastro per una svolta sulla produttività il lavoro individua quello dell’ “innovazione”.
“L’unico consiglio che diamo sulla politica della competitività è che bisogna tener conto di innovazione e resilienza. Abbiamo proposto di smetterla con l’esenzione agli aiuti di Stato che devono essere utilizzati per progetti comuni”. “Raccomandiamo anche che la competitività guardi più al futuro”, ha aggiunto l’ex presidente della Bce sottolineando al tempo stesso come le proposte lanciate dal Rapporto “sono attuabili subito”.
Draghi torna con il suo bazooka?
“Mario Draghi ha ritirato fuori il bazooka”. E’ quanto commentano fonti del Ppe considerando il capitolo sul debito comune nel Rapporto sulla competitività redatto dall’ex presidente della Bce presentato oggi a Bruxelles.
Il suo ‘bazooka’ era rappresentato dal “Quantitative easing”, provvedimento con cui la la Banca Centrale Europea di cui era capo, si è impegnata ad acquistare (dal 22 gennaio del 2015 fino al settembre del 2016) titoli di stato dei paesi dell’Eurozona per un controvalore di 60 miliardi di euro.
Se le condizioni politiche e istituzionali sono presenti, l’Ue dovrebbe continuare – basandosi sul modello del NextGenerationEu – a emettere strumenti di debito comune, che verrebbero utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza” europea.
Queste le parole scritte nero su bianco da Draghi nel suo rapporto in cui l’ex numero uno di Francoforte snocciola anche qualche numero.
“Il fabbisogno finanziario necessario all’Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme” e per raggiungere gli obiettivi indicati nel rapporto Draghi “sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, secondo le ultime stime della Commissione, pari al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023”. “Per fare un paragone, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue (…) Abbiamo detto molte volte che la crescita sta rallentando da molto tempo nell’Ue, ma lo abbiamo ignorato. Fino a due anni fa non avremmo mai avuto una conversazione del genere perché in genere le cose andavano bene. Ma ora non possiamo più ignorarlo: le condizioni sono cambiate”.
“L’emissione di asset” comuni “su base più sistematica richiederebbe un insieme più forte di regole di bilancio che garantiscano che un aumento del debito comune sia accompagnato da un percorso più sostenibile del debito nazionale”. Si legge nel rapporto sulla competitività di Mario Draghi. “L’emissione di asset sicuri comuni per finanziare progetti di investimento congiunti potrebbe seguire modelli esistenti, ma dovrebbe essere accompagnata da tutte le garanzie che un passo così fondamentale comporterebbe”, avverte l’ex premier.
“Il bilancio dell’Ue dovrebbe essere riformato per aumentarne l’efficacia e l’efficienza, oltre a essere meglio sfruttato per sostenere gli investimenti privati”, istituendo “un ‘pilastro della competitività”. Lo si legge nel report sulla competitività di Mario Draghi, in cui viene specificato che “le risorse finanziarie dell’Ue dovrebbero essere rifocalizzate su progetti strategici e obiettivi concordati congiuntamente, in cui l’Ue apporta il maggior valore aggiunto”. L’Ue dovrebbe dunque “semplificare la struttura del bilancio per raggiungere una scala sufficiente a sostenere i progetti strategici”, viene evidenziato nel rapporto, con la proposta di “raggruppare e ridurre il numero di tutti i programmi di finanziamento”. “Dovrebbero essere istituiti schemi di finanziamento dedicati per affrontare il divario di investimenti per le aziende tecnologiche in fase di crescita, così come per le capacità di produzione in determinati settori, come le tecnologie pulite”, scrive ancora Draghi, auspicando maggiore flessibilità “per consentire la riallocazione delle risorse tra e all’interno dei programmi e dei potenziali beneficiari” e maggiore sostegno agli “investimenti privati”.
Capitolo difesa e governance: cosa ha detto Mario Draghi
Sul capitolo difesa, il rapporto Draghi chiede di “aumentare i finanziamenti europei” per la Ricerca e Sviluppo (R&S) nel campo della difesa e di concentrarli su “iniziative comuni”. Un approccio pensato attraverso “nuovi programmi a duplice uso e una proposta di progetti europei di difesa di interesse comune”. Una necessità che deriva da una considerazione apparentemente banale ma scolpita nel rapporto: “Nessuno stato membro può finanziare, sviluppare, produrre e sostenere efficacemente tutte le capacità e le infrastrutture necessarie per mantenere la leadership” nelle tecnologie più avanzate di oggi.
“Per ridurre le sue vulnerabilità, l’Ue deve sviluppare una vera e propria ‘politica economica estera’ basata sulla sicurezza delle risorse critiche. A breve termine, l’Ue deve attuare rapidamente la legge sulle materie prime critiche”. Il rapporto raccomanda poi d’integrare questa legge “con una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici, dall’estrazione alla lavorazione al riciclaggio”. Per rafforzare la posizione dell’Europa nella fase di approvvigionamento, si propone di creare “una piattaforma europea dedicata alle materie prime critiche”.
Infine, riforme per la governance politica dell’Unione: “Finora, molti sforzi per approfondire l’integrazione europea tra gli Stati membri sono stati ostacolati dal voto all’unanimità. Dovrebbero quindi essere sfruttate tutte le possibilità offerte dai Trattati Ue per estendere il voto a maggioranza qualificata”, spiega il rapporto. Il voto a maggioranza qualificata dovrebbe essere “esteso a più aree”, sottolinea l’ex premier.