ROMA (WSI) – La legge europea è uguale per tutti, ma è un po’ più magnanima con la Germania. Una sua banca ha ricevuto un trattamento di favore rispetto alle quattro banche regionali italiane salvate di recente con il contributo di creditori e risparmiatori. Bruxelles, nel caso italiano, ha invocato la norma che vieta gli aiuti di stato, ma non è stto fatto nel piano anti crac di Hsh Nordbank.
Il caso dell’istituto di credito tedesco salvato con i soldi dei contribuenti a ottobre resta tuttora un mistero. Allora, quando partì l’autorizzazione a fare ricorso al piano di bail-out per scongiurare il crac, non furono colpiti i creditori come invece avvenuto in Italia nel caso di Banca Marche, CariChieti, CariFerrara e Banca Etruria il 22 novembre dell’anno scorso.
Come spiega Il Corriere della Sera “Bruxelles in quel caso invocò una complessa argomentazione proprio per risparmiare gli investitori tedeschi. Ma non è chiaro quale sia: quattro mesi dopo, la Commissione Ue non ne ha ancora pubblicato il testo della decisione. La trasparenza, stavolta, non abita a Bruxelles”.
Il governo italiano si è sicuramente mosso in ritardo e avrebbe dovuto studiare cosa comportava l’ingresso della norma sui bail-in a gennaio 2016. È come se della direttiva Ue che da un mese impone le perdite delle banche in crisi su azionisti, creditori e correntisti con più di 100.000 euro in banca fossero al corrente solo pochi esperti.
Non solo. L’amministrazione Renzi avrebbe potuto evitare che dieci mila italiani vedessero depauperati i loro investimenti, per effetto dell’azzeramento delle obbligazioni senior, ossia quelle più rischiose.
“Da allora molti si chiedono perché i successivi governi italiani abbiano accettato regole simili a Bruxelles. Se l’Italia si fosse opposta fino in fondo, avrebbe potuto far valere il suo veto e bloccare la direttiva europea sulla «risoluzione» delle crisi bancarie fino a quando le norme non fossero state emendate”.
Dalle ricostruzioni dei media pare che il governo abbia provato a chiedere emendamenti e una revisione delle regole – come ha proposto il numero uno di Bankitalia Ignazio Visco qualche giorno fa – prima di salvare le quattro banche punendo i creditori, ma che abbia fallito. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia italiano, avevano chiesto che le nuove norme venissero introdotte gradualmente.
Perdite creditori potevano essere evitate
Ma le autorità europee e la Germania fecero notare che la direttiva faceva parte dell’accordo già preso da tutti i paesi membri sull’Unione bancaria. Bloccarla avrebbe voluto dire aumentare i sospetti che l’Italia volesse evitare la vigilanza europea sulle sue banche per motivi non meglio precisati. A quel punto, secondo la tesi europea, Roma sarebbe finita sotto l’attacco dei mercati, tornando a complicare la tenuta del debito pubblico come avvenuto nel 2011 all’apice della crisi del debito sovrano in Eurozona dei cosiddetti Piigs, i paesi del Sud d’Europa più l’Irlanda.
L’episodio mostra quanto poco valga il peso politico e la leva negoziale dell’Italia e più in generale dei paesi con meno crescita e più debito. E come sia facile per i paesi più virtuosi e politicamente “forti” minacciare il nostro esecutivo, che ha peccato indubbiamente di scarsa preparazione e arte diplomatica.
Una verifica definitiva delle controverse norme Ue sui piani di bail-in è prevista per il 2018. Sulla carta sono più giuste del bail-out, che vede la partecipazione agli sforzi economici di tutti i contribuenti del blocco, ma dall’altra sicuramente andava tutto preparato meglio e con più gradualità, informando a dovere i cittadini.
Fonte: Corriere della Sera