Mentre l’Italia si avvicina al progetto della Nuova via della seta, l’Unione Europea ha siglato con il Giappone un accordo sulle infrastrutture in grado di sfidare, sullo stesso terreno, il grande progetto cinese. A firmare il patto sono stati il premier giapponese Shinzo Abe e dal presidente della Commissione Europea uscente Jean-Claude Juncker.
Il piano approvato venerdì a Bruxelles prevede il coinvolgimento del Giappone in una “partnership sulla connettività” che include non solo il settore trasporti, ma anche il settore digitale. L’obiettivo è di costruire infrastrutture su principi “rules-based” (cioè regolati da diritto e non da rapporti di forza), dalla regione Indo-pacifica ai Balcani occidentali arrivando all’Africa.
A supporto del progetto ci saranno 60 miliardi di euro, ripartiti fra fondi Ue, banche per lo sviluppo e investitori privati. La scommessa è che tale somma possa innescare un potente effetto leva sugli investimenti privati, mobilitando cifre assai più rilevanti.
“La rotta marittima che [dall’Asia] conduce al Mediterraneo e all’Atlantico deve essere aperta”, ha dichiarato Abe, con evidenti richiami al progetto marittimo incluso nella Belt and Road initiative cinese. Il presidente Juncker ha proseguito con i riferimenti al modus operandi cinese affermando che l’accordo odierno non prevede di costruire infrastrutture creando “montagne di debiti” per i Paesi che ospiteranno i lavori e che non saranno appoggiate a “un singolo Paese”. Fra le maggiori critiche rivolte alla Nuova via della seta, infatti, non è secondaria la questione dell’indebitamento dei Paesi che hanno siglato la partnership con la Cina.
Il progetto euro-giapponese, inoltre, promette il rispetto dei principi di trasparenza e l’aderenza ad “elevati standard di sostenibilità economica, fiscale, finanziaria, sociale e ambientale”. Tutti aspetti per i quali più di un dubbio è sorto rispetto all’iniziativa promossa da Xi Jinping.
Nel marzo scorso la Commissione europea aveva definito la Cina, in un documento ufficiale, “un rivale sistemico che promuove modelli alternativi di governance”. Diversi osservatori internazionali, come Politico, avevano messo in luce che tale presa di posizione ufficiale era una non troppo velata risposta alle fughe in avanti di Paesi come l’Italia, che tre giorni dopo quella pubblicazione avrebbe ufficialmente firmato il Memorandum con la Cina.