NEW YORK (WSI) – Ecco le cifre ufficiali alla fine del 2008: il disavanzo totale di tutti gli Stati dell’UE ha raggiunto 7.800 miliardi; alla fine del 2009, 8.900 miliardi; alla fine del 2010, 9.600 miliardi e alla fine del 2011, 10.300 di euro. Ciò corrisponde ad una percentuale del prodotto interno lordo (PIL) totale di tutti gli Stati membri dell’UE nel 2008 di 62,5%, nel 2009 di 74,8%, nel 2010 dell’80,0% e nel 2011 dell’82,5%. Per i 17 Stati della zona euro, i numeri sono ancora peggiori. (Ad esempio: il rapporto tra debito pubblico – cioè, la percentuale del debito pubblico in rapporto al PIL – della Svizzera si attesta a fine 2011 al 52%, mentre un anno prima, era ancora il 55% e nel 2012 ha continuato a scendere fino al 51%).
Solo il tempo ci dirà chi dovrà pagare queste somme colossali e come potrà farlo. I cosiddetti piani di salvataggio (“aiuti alla Grecia,” EFSF, MES, finanziamenti mirati, acquisti di obbligazioni da parte della BCE, ecc.) hanno lo scopo di far credere ai cittadini degli Stati membri dell’UE che si può risolvere il problema del debito attraverso una ridistribuzione tra gli Stati “ricchi” e gli “stati poveri” nell’UE. Ma se guardiamo più da vicino, tutti questi piani di salvataggio non portano esattamente ad una ridistribuzione tra Stati, ma una redistribuzione tra tutti gli Stati a spese dei contribuenti e a beneficio di un gruppo selezionato del grande capitale.
La speranza che alcuni paesi, tra cui in primo luogo la Germania, sarebbero i soli in grado di farsi carico di tutto ciò, è pura illusione. Nell’UE, il 20% di tutto il debito pubblico è della sola Germania, nel 2011 c’erano 2,1 miliardi di euro che la Repubblica federale, dei Länder e dei comuni dovevano a ogni donatore. La verità è che in Germania, i capitali in mani private raggiungono quasi il doppio. E se si trattasse realmente e onestamente di un nuovo inizio, potrebbe anche essere possibile ammortizzare il debito, con l’aiuto dei cittadini, dove è ragionevole e giusto. Infatti, i cittadini sono sempre pronti a contribuire al bene comune. Ma al giorno d’oggi, tutti sanno che queste azioni di redistribuzione programmate, non sono per il bene comune. Non è accettabile dare più soldi a coloro che ne hanno già in abbondanza.
Questo è probabilmente il motivo per cui né l’UE né le élites attualmente al potere negli stati della UE, fanno affidamento sulla libertà e la ragione – perché sanno che l’uomo che ragiona liberamente vede in modo chiaro il doppio gioco – ma sulla menzogna e la coercizione. Ci raccontano la favola dell’”armonizzazione”, “razionalizzazione”, e “centralizzazione” indispensabili all’interno dell’UE. Tutto questo dovrebbe essere essenziale nel mondo globalizzato del XXI secolo, in cui gli stati nazionali sovrani, per la molteplicità delle proprie risorse, non sarebbero solo superati, ma disturbano semplicemente la soluzione dei problemi dell’umanità. Questo è in sostanza ciò che Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, ha affermato il 10 gennaio a Dublino. E chiede ai cittadini di:
– rinunciare ad una pensione pubblica che corrisponde alla dignità umana – per un inaridimento delle finanze pubbliche degli enti locali,
– rinunciare ad un giusto salario e ad una partecipazione nella creazione di valore – per un’ideologia di “competizione economica tra i siti”,
– rinunciare alla libertà secondo la dignità umana, al diritto e alla democrazia – attraverso un’Unione Europea che si attribuisce sempre più competenze e di cui anche la Corte Suprema tedesca Costituzionale ha sentenziato che c’era, ovviamente, un “deficit democratico”.
Il principio secondo cui gli Stati membri dell’UE sono i “padroni dei trattati” è ancora valido. Gli Stati membri dell’UE possono sempre modificare i trattati europei, potrebbero anche sciogliere l’Unione, se volessero, e rimandare a casa i funzionari di tutte le istituzioni europee e tutti i commissari. La dittatura dell’UE, può ancora essere evitata, secondo le norme di legge vigenti.
Ma ora si sta cercando di cambiare anche questo. Il 5 dicembre 2012, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha presentato un documento, Towards a genuine economic and monetary Union (“Verso una vera Unione economica e monetaria”), secondo cui – a suo piacimento – gli elementi costitutivi della sovranità nazionale devono essere smantellati. Questa è la legge del bilancio che rimane soprattutto nei diritti di sovranità dei Parlamenti ancora parzialmente funzionanti.
“L’UE vuole utilizzare l’attuale crisi per riformare il parlamentarismo europeo. E’ possibile che i parlamenti nazionali che sevono gli Stati, per l’Unione europea, siano piuttosto fastidiosi. Per questo motivo la Commissione europea vuole che in futuro tutte le decisioni importanti di bilancio non sono prese dagli Stati, ma dal Parlamento europeo. Questo è ciò che il Deutsche Nachrichten Wirtschafts ha scritto il 7 dicembre 2012. E si legge ancora: “In futuro, l’UE dovrebbe avere voce in capitolo quando si tratta di bilanci nazionali. In particolare, van Rompuy avrebbe deciso quali sono gli Stati che devono attuare le riforme.
La Commissione europea prevede pertanto che ciascuno Stato deve firmare un accordo vincolante con il quale accetta determinati requisiti. Ma Van Rompuy non vorrà smontare completamente i parlamenti nazionali da solo: essi dovranno accettare il loro scioglimento firmando formalmente un accordo di auto-liquidazione. In questo senso, le cerimonie degli yes-men del MES possono essere considerate come un primo test eseguito con successo. Qui, il Bundestag tedesco si è già qualificato per far parte della nuova Lega europea politico-democratica”.
“PROPRIO COME SOTTO HITLER”
Proprio come il Reichstag tedesco con la legge sulla piena potenza nel marzo 1933. All’epoca, il parlamento tedesco, il Reichstag, ha autorizzato il governo di Hitler ad emanare leggi senza l’approvazione del Reichstag, e così facendo, ha distrutto la separazione dei poteri. Poi tutto è successo molto rapidamente: in sei anni, il nuovo stato centralizzato di Berlino ha portato il mondo in guerra.
In primo luogo, l’unificazione del paese, che si è svolta da cima a fondo: i parlamenti dei Länder sono stati eliminati, i Länder governati centralmente dai prefetti del Reich, i comuni con sindaci senza consiglio comunale. Poi la rottura continua con le disposizioni del trattato di Versailles. Poi il piano segreto quadriennale che doveva preparare alla guerra l’economia tedesca. La prova generale in Spagna, l’attacco aereo su Guernica. Monaco di Baviera nel 1938. Le conseguenze sono note. Sequenze che avrebbero potuto essere evitate, in punti diversi, ovviamente, anche dall’estero. Ma certamente dall’interno: è stato confermata ancora una volta in modo spaventoso ciò che i parlamentari avevano previsto al memorabile dibattito bavarese del 1871. Le grandi formazioni di Stati centralizzati che calpestano un’ organizzazione di stati federalisti, cercarono di sottomettere l’intera Europa dopo aver asservito i loro connazionali. Poi il mondo.
Il mondo ha imparato qualcosa? Nessuno fiata al giorno d’oggi, quando l’Unione europea si vanta di ripristinare l’economia attraverso il riarmo? E quando il mostro di Bruxelles pratica dal 2010 il metodo, proposto da Jean Monnet, di approfittare di una crisi per continuare a diminuire la sovranità degli Stati nazionali e di compiere nuovi passi verso una dittatura dell’UE?
Ma i leader dell’UE non vogliono solo imporre ai cittadini e agli Stati membri dell’UE ciò che devono fate o non fare. Ciò è dimostrato dalle attuali reazioni dell’UE verso i piani del nuovo governo giapponese per la ricostruzione, con l’aiuto di una spesa pubblica più alta, delle martoriate infrastrutture rilanciando così l’economia del paese, indebolita da anni. Il ministro delle finanze tedesco ha risposto con uno scatto rabbioso e condannato i piani del paese asiatico. “La razza tedesca guarirà il mondo”, dicevano in Germania, quando il paese era governato dal Kaiser che voleva estendere il suo impero. Oggigiorno, nessun paese accetterà che l’Unione Europea cerchi di dettare abusivamente al mondo, la via da seguire in materia politica, economica e culturale. Ed è un bene.
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