L’assemblea straordinaria di una società di servizi, di cui facevano parte dottori commercialisti, delibera l’adozione di un nuovo statuto che prevede la possibilità per tale società di svolgere attività di consulenza fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati.
Di fronte al rifiuto del notaio verbalizzante di iscrivere tale modifica dello statuto nel registro delle imprese, ritenendola incompatibile con l’articolo 34 del decreto legislativo numero 241/97, la società si è vista costretta a chiedere al Tribunale di Milano di ordinare l’iscrizione della decisione.
L’articolo 34, numero 4, del decreto legislativo numero 241/97 effettivamente attribuisce una competenza esclusiva ai Caf (centri di assistenza fiscale) per la liquidazione della dichiarazione annuale dei redditi dei lavoratori dipendenti e assimilati, presentata in base ad un modello semplificato (modello 730), compresa la consegna al contribuente di una copia della dichiarazione elaborata e del prospetto di liquidazione delle imposte, nonché la comunicazione ai sostituti d’imposta del risultato della dichiarazione ai fini del conguaglio in sede di ritenuta d’acconto e l’invio delle dichiarazioni all’amministrazione finanziaria, per cui l’Autorità giudiziaria adita non ha potuto far altro che respingere la richiesta della società.
La società di servizi non si è però rassegnata e ha impugnato la decisione del Tribunale, sostenendo dinanzi alla Corte d’Appello che le disposizioni del decreto legislativo numero 241/97, in quanto riservano esclusivamente ai Caf talune attività di consulenza e di assistenza fiscale, sono incompatibili con il Trattato Ce, in particolare con gli articoli 43 e 49.
A questo punto la Corte d’Appello di Milano ha sospeso il procedimento, sottoponendo tale questione pregiudiziale all’attenzione della Corte di giustizia Ce.
Dopo aver ricordato che gli articoli 43 Ce e 49 Ce impongono l’abolizione delle restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi e che devono essere considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tale libertà, la Corte di giustizia ha affermato che “l’attribuzione di una competenza esclusiva ai Caf, nell’offerta di taluni servizi di consulenza e assistenza fiscale, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, vietata, in via di principio, dagli articoli 43 Ce e 49 Ce”.
Per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi, una tale normativa nazionale, riservando queste attività ai Caf, impedisce totalmente l’accesso al mercato dei servizi di cui trattasi agli operatori economici stabiliti in altri Stati membri.
Invece, in relazione alla libertà di stabilimento, una tale normativa, limitando la possibilità di costituire Caf a taluni soggetti che soddisfano condizioni tassative, è idonea a rendere più difficile, se non ad impedire totalmente, l’esercizio da parte degli operatori economici provenienti da altri Stati membri del loro diritto di stabilirsi in Italia al fine di fornire i servizi in questione.
In teoria tali disposizioni discriminatorie potrebbero essere giustificate se fossero effetto della necessità di tutelare l’interesse pubblico dei lavoratori dipendenti, destinatari dei servizi in esame, nei confronti del danno che essi potrebbero subire a causa di servizi prestati da soggetti che non abbiano le necessarie qualifiche professionali o morali, sempre che siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.
La Corte ha però osservato come alcuni dei compiti attribuiti ai Caf (la consegna di una copia della dichiarazione tributaria e del progetto di liquidazione delle imposte, l’invio delle dichiarazioni tributarie all’amministrazione finanziaria, nonché la comunicazione ai sostituti d’imposta del risultato finale delle dichiarazioni) hanno una carattere semplice, “che non giustifica una limitazione del loro esercizio ai soli titolari di una qualifica professionale specifica”, mentre per gli altri compiti più complessi riservati ai Caf (il controllo della conformità dei dati esposti nella dichiarazione tributaria alla documentazione allegata) non sembra “che gli organismi autorizzati a costituire Caf offrano garanzie di competenze professionali specifiche per il loro svolgimento”.
Del resto, conformemente all’articolo 33, numero 2 del decreto legislativo numero 241/97, i Caf designano le persone responsabili dello svolgimento di tali compiti tra gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti o in quello dei ragionieri, ossia di professionisti che non possono offrire, in nome proprio, i servizi riservati ai Caf.
Inoltre la normativa nazionale in esame non trova nemmeno una sua giustificazione nel fatto di regolamentare un’attività che partecipa all’esercizio di pubblici poteri, come richiesto dagli articoli 45, primo comma, e 55 Ce, in quanto tutti i servizi offerti dai Caf non costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, ma una misura destinata a preparare o facilitare lo svolgimento di compiti che spettano all’amministrazione.
Infine la Corte di giustizia, nel ribadire che spetta al giudice nazionale alla luce dei fatti di causa valutare se una norma nazionale configuri un aiuto di Stato vietato dalle norme comunitarie, chiarisce però che una misura, come la disposizione che prevede per le attività riservate ai Caf il versamento a questi ultimi di un compenso, a carico del bilancio dello Stato pari a 14 euro per ciascuna dichiarazione elaborata e trasmessa (articolo 38, numero 1, Dlgs 241/97), deve essere qualificata aiuto di Stato se si verificano entrambe queste due condizioni: a) il livello del compenso eccede quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento, b) il compenso non è determinato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi necessari al fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di tali obblighi.