Dall’inserto cultura di oggi del Sole 24 Ore ho preso il passaggio che segue e che ho riportato integralmente.
Con la scusa del “pallone”, quello giocato, si passa ad analisi molto più impegnative che vale la pena leggere, non dico condividere, ma almeno leggere.
Si parla di di una libertà perduta ma che io penso al massimo soltanto “smarrita” e di un amore confuso come il mero godimento sessuale.
Insomma, anche qua, come sempre ci si costringe a combattere tra due linee di pensiero dove una parla di una vita terrena, normale e che interessa la maggior parte di noi, con tutti i limiti degli errori possibili, l’altra invece, parla dell’ideale forse possibile solo nella fantasia.
Dico subito che io faccio parte della prima categoria, anche se mi sforzo di raggiungere come tutti quell’ideale nel quale tutti crediamo
BUONA LETTURA
—————————————————-UN PALLONE—————————————————
<<Una giornalista chiese alla teologa Dorothe SOLLE: “Come spiegherebbe la felicità ad un bambino? “Non glielo spiegherei, gli dare un pallone per giocare.>>
Nata a Colonia nel 1929 in un a famiglia alto-borghese protestante, Dorothe SOLLE si dedicò ben presto agli studi umanistici che la condussero alla teologia della quale divenne docente universitaria sia a Magonza sia a New York. La sua fu una concezione di forte impronta sociale.: Cristo vero uomo ci rende presente e operante in noi il Dio trascendente e assente. In ultima analisi anche la festa di Pentecoste è legata allo Spirito di Dio visto come un respiro di vita, di libertà e di fede che attraversa l’anima della persona umana. In questa luce riusciamo a comprendere la battuta che abbiamo citato: è nell’atto gratuito, incarnato nel gioco, che scopriamo la pienezza della vita, è nell’amore autentico – che è donazione piena e totale – che gustiamo la felicità pura. Riducendo il gioco ad affare sportivo con un giro vorticoso di interessi e l’amore una mera esperienza di godimento sessuale, abbiamo perso il sapore della libertà e della gioia genuina.
Non sappiamo più giocare in senso genuino ed è per questo che non conosciamo più la vera festa e la felicità intatta.