Società

UNA NUOVA
GUERRA FREDDA

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(WSI) – La guerra del gas tra Mosca e Kiev non è un incubo solo per 48 milioni di ucraini, per i quali c’è lo spettro di un’inverno al freddo e con le fabbriche ferme, o quasi, dopo il blocco delle forniture russe scattato il 1° gennaio. Anche l’Europa ha di che preoccuparsi: circa il 25% del suo gas naturale viene dalla Russia e, per di più, quasi tutto questo gas (l’80%) arriva agli utenti europei con gasdotti che passano per l’Ucraina. E così, sin dal primo giorno del blocco all’Ucraina, vi sarebbe stato un sensibile calo anche del gas russo in arrivo in Austria, Polonia e Ungheria. Per mercoledi’, a Bruxelles, la Commissione dell’Ue ha già convocato una riunione di esperti su questa nuova emergenza.

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Ma al di là dei timori di una possibile «crisi del gas», sembra che la Russia, con Vladimir Putin al Cremlino, si sia fatta di colpo assai più assertiva, voglia essere trattata e rispettata come una grande potenza (anche se non lo è più) e utilizzi a tale scopo le sue notevoli risorse energetiche. La Russia è il «numero due» mondiale del petrolio, dopo l’Arabia Saudita, sia come produttore sia come esportatore, e il «numero uno» per il gas, quanto a produzione e riserve. La compagnia russa Gazprom, che oltre ad operare nel settore del gas è da poco entrata anche nel settore del petrolio, aspira a diventare un colosso mondiale alla pari delle «major» occidentali come ExxonMobil e le altre.

La Russia è oggi un vitale fornitore di idrocarburi all’Europa, ha un crescente ruolo anche sul mercato asiatico (Cina, Giappone, India e Corea del Sud), e mira ad un’importante quota degli approvvigionamenti Usa di greggio e, in futuro, di gas naturale liquefatto. Tutto ciò, sullo sfondo di una strisciante crisi petrolifera mondiale coi prezzi in rialzo, significa che il petrolio e il gas si traducono, per Mosca, in una favolosa pioggia di dollari e, forse, in nuove ambizioni di potere strategico a livello globale.

Nella crisi tra Russia e Ucraina, ad esempio, è difficile separare la componente economica da quella politica. I russi dicono che è solo una vertenza sui prezzi. Fin qui l’Ucraina ha pagato, per il gas russo, solo 50 dollari ogni mille metri cubi – un prezzo decisamente sovvenzionato. Poiché l’Ucraina viene ora considerata una «economia di mercato», Mosca chiede ora un prezzo da mercato internazionale, sui 230 dollari, ma Kiev dice di non poter pagare più di 80 dollari. La vicina Bielorussia, invece, paga meno di 50 dollari. Il problema politico è che, col presidente Viktor Yushchenko (eletto l’anno scorso contro il filo-russo Viktor Yanukovych), l’Ucraina (che un tempo faceva parte dell’Unione Sovietica) segue una politica avversa alla Russia e sempre più vicina all’Occidente, e in particolare agli Usa. Questa svolta può avere una notevole rilevanza geo-politica e accentuare il timore del Cremlino di un progressivo accerchiamento strategico della Russia da parte degli Usa e della Nato.

Quindi, col subitaneo e astronomico aumento dei suoi prezzi, e con l’interruzione del servizio, la Russia mostra all’Ucraina di poterle provocare danni economici potenzialmente catastrofici. E alle prossime legislative, fissate per marzo, il partito anti-russo di Yushchenko potrebbe subire una grave sconfitta. O no? C’è infatti anche le teoria (però proposta dai russi) che sarebbe stato proprio Yushchenko a provocare questo guaio, allo scopo di suscitare un’ondata di nazionalismo anti-russo da sfruttare alle elezioni.

Una cosa che lascia molto perplessi è che Mosca abbia chiuso il gas all’Ucraina, e posto il rischio di una crisi internazionale, lo stesso giorno in cui ha assunto la presidenza di turno del G8, il gruppo di paesi di cui fanno parte, oltre alla Russia, le prime sette economie mondiali (G7), e cioè Usa, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada. Il G8, in realtà, è solo il G7 con in più la Russia, che però non è l’ottava potenza economica mondiale, bensì la quindicesima o sedicesima. Il G8 venne istituito dal G7 nel 2002 per coinvolgere la Russia, ex super-potenza globale e possibile gigante energetico, in una struttura di cooperazione internazionale.

Essere presidente di turno del G8 dà alla Russia di Putin un prestigio e un’opportunità d’azione a livello globale molto superiore alle sue attuali capacità. Per di più, il secondo mandato presidenziale di Putin è stato sin qui caratterizzato da una crescente corruzione del regime, da una marcata svolta autoritaria, e da una ripresa del ruolo dello Stato nell’economia. Ciò premesso, lo stesso Putin disse, poco tempo fa, che la sua presidenza del G8 sarebbe stata in gran parte focalizzata sul tema della «sicurezza degli approvvigionamenti energetici», e che la Russia intendeva promuovere il suo ruolo di fornitore affidabile.

Certamente, la vertenza con l’Ucraina e la clamorosa interruzione delle forniture di gas, potrebbero creare danni forse irreparabili all’immagine di una Russia con la quale si possono concludere affari in tutta tranquillità. Soprattutto, questa vicenda può accentuare la strisciante, nuova «guerra fredda» da tempo in corso tra la Russia di Putin e l’America di Bush. A Washington, ad esempio, alcuni senatori e rappresentanti hanno già proposto una risoluzione «bipartisan» per escludere Mosca dal G8, o comunque boicottare le varie riunioni G8 previste in Russia e soprattutto il summit di San Pietroburgo.

D’altra parte, anche se la Russia è in calo di prestigio, resta il fatto che il suo petrolio e il suo gas sono sempre più importanti. E quindi possono essere usati come strumento di potenza a livello globale. Al tempo stesso, l’entourage di Putin estende il proprio controllo sulle risorse del paese. Oggi, il Cremlino controlla direttamente un buon 30% della produzione nazionale di petrolio e, tramite Gazprom, l’intera produzione di gas. E ciò permette il rapido arricchimento di una nuova casta di oligarchi.

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