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Unicredit e Banca Intesa vendono decine di miliardi di asset ‘tossici’ agli americani

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ROMA (WSI) – Banca Intesa San Paolo e Unicredit, le due principali banche italiane, hanno firmato un accordo con un importante advisor internazionale per la ristrutturazione ed eventuale vendita dei crediti in sofferenza. Si tratta di asset ‘tossici’ che pesano dai tempi della Grande Recessione del 2008 sui bilanci delle due TBTF italiane (‘too big too fail’) cioè i colossi del sistema creditizio.

Sul tema leggere: Banche, il giorno del giudizio.

Fornendo capitale fresco per l’acquisto dei crediti tossici o incagliati, le società Usa di private equity KKR e Alvarez & Marsal si occuperanno di prendere in gestione gli attivi “distressed”. La newyorkese Kohlberg Kravis Roberts, fondata da Henry Kravis e George Roberts, e’ la “numero 1” tra le societa’ di private equity a livello globale. Non sono stati rivelati i termini della trattativa ma di solito negoziati del genere avvengono a Wall Street fino a livelli di 30 centesimi per 1 euro o per 1 dollaro.

Operazioni di questo tipo, in cui banche europee si alleano con un gruppo di private equity o un fondo hedge alla ricerca di opportunità per liberarsi dei crediti incagliati, sono diventate più frequenti dopo la grande crisi finanziaria degli anni passati.

Il progetto riguarderà in particolare decine di miliardi di euro di crediti erogati nei confronti di aziende del settore industriale e dei servizi…

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Fonti del mercato finanziario italiano elaborano la tesi sostenuta da Wall Street Italia – con tutti i dettagli e le cifre nella sezione Insider – segnalando che in primo luogo, non si tratta di asset tossici: l’operazione riguarderà crediti in ristrutturazione che le due banche vantano nei confronti di primari gruppi industriali e viene fatta proprio con l’obiettivo di fare ritornare tali imprese alla redditività nel più breve tempo possibile.

Nella classificazione dei crediti dubbi, i crediti in ristrutturazione non sono deteriorati al punto da essere irrecuperabili, anzi, solitamente con riscadenziamenti e altre manovre tornano a essere restituiti.

Le due banche non sono “too big to fail” – specificano le fonti milanesi: solo UniCredit è inserita nel novero delle global SIFI, le istituzioni finanziarie di interesse sistemico, soggette a una regolamentazione più stringente in termini di requisiti di solidità patrimoniale a tutela di azionisti e depositanti.

I crediti non vengono ceduti: restano sui libri delle due banche, che quindi non li “sbolognano”. I due operatori specializzati, apportando capitali propri, investiranno nei gruppi industriali oggetto dell’accordo rilanciandoli e facendoli tornare redditizi, ripagandosi in questo modo l’investimento e mettendoli in condizione di restituire i crediti alle banche.

Non si tratta di crediti incagliati, ma di crediti in ristrutturazione.

Nulla a che vedere nemmeno con gli asset “distressed”, quindi anche tutto il ragionamento sul valore di pochi centesimi è tutto da verificare, alla fine del deal.

L’operazione riguarderà alcuni crediti in ristrutturazione, un piccolo portafoglio e non tutto l’ammontare dei crediti in ristrutturazione delle due banche. Quindi – sostiene una fonte bancaria – il riferimento alle decine di miliardi non è corretto.