ROMA (WSI) – La stampa italiana è tornata oggi sull’affaire Unicredit e sul fatto che il suo Ceo in uscita (silurato) Federico Ghizzoni, per il quale non è stato clamorosamente ancora trovato un sostituto per via delle divergenze in seno all’assemblea degli azionisti, non era in realtà obbligato ad accollarsi l’aumento di capitale (a rischio) di Pop Vicenza e indebolire così il capitale della banca da lui gestita.
L’ex top manager però ha ceduto alle pressioni della Vicenza. È il contenuto della lettera di garanzia a evidenziare come senza la quotazione in Borsa della banca popolare, Unicredit avrebbe potuto abbandonare il piano e lasciare saltare la concorrente. Per questo motivo, come già anticipato e spiegato da Wall Street Italia, è dovuto intervenire il governo con il fondo Atlante. In poche parole il fondo di salvataggio è servito sopratutto per salvare la banca milanese.
Anche perché se il salvataggio fosse fallito, con Unicredit sarebbe stato trascinato a fondo l’intero settore bancario italiano. Sulla base di ciò, il governo è intervenuto spingendo le banche del paese affinché sostenessero finanziariamente il nuovo fondo di garanzia Atlante, che ha assunto su di sé l’onere di rilevare l’intera emissione azionaria di Popolare di Vicenza.
A un certo punto della contesa sul ruolo di Unicredit nel salvataggio di Pop Vicenza, le due banche hanno cominciato a litigare anche sulle proposizioni avversative. La banca milanese ha provato a puntare sul fatto che nel contratto c’era scritto che senza Ipo la garanzia non vale. Ma la popolare veneta ha probabilmente fatto notare come nel documento fosse scritto “offerta in Borsa e/o aumento di capitale”. È stato usata una “o”. Quindi? Secondo la Vicenza valeva l’ obbligo di garantire un miliardo e mezzo di euro, anche se la quotazione non fosse riuscita.
Senza Ipo, garanzia non doveva scattare
Per Unicredit ai soci in assemblea della banca vicentina era stato spiegato che senza la quotazione la garanzia non sarebbe stata assicurata. Anche se la via in Borsa era quella principale, i manager di Pop Vicenza hanno spinto per l’aumento dal momento che dal contratto si può intuire per certi versi che la garanzia vale anche senza quotazione.
L’edizione odierna de Il Messaggero ricostruisce e sintetizza bene “il cuore dello scontro legale che tra febbraio e marzo ha visto contrapposte la Popolare di Vicenza, pressata dalla Banca centrale europea per trovare 1,5 miliardi di euro entro fine aprile per evitare il bail-in, e Unicredit, che aveva sottoscritto una garanzia preliminare sulle azioni che sarebbero rimaste invendute nel collocamento in Borsa”.
Ed è stato proprio l’esito di quelle trattative e di quel contratto ad aver deteriorato la percezione di Unicredit sul mercato e degli azionisti del loro manager. Molti osservatori, spiega il quotidiano romano, compreso il presidente di Quaestio sgr Alessandro Penati, che gestisce il Fondo salva-banche Atlante, “sostengono che se Unicredit avesse dovuto farsi carico delle azioni della Popolare di Vicenza avrebbe indebolito in maniera rilevante il suo stesso patrimonio. E dunque Atlante sarebbe nato più per salvare Unicredit che la Vicenza”.
“È un equivoco, una leggenda metropolitana”, ha risposto al Sole 24 Ore venerdì il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita: «Tutti ne parlano ma in pochi sanno come sono andate le cose. Molto semplicemente, è stato siglato, peraltro in ben altre condizioni di mercato, un contratto standard di pre-garanzia che poneva una serie di 14 condizioni per la trasformazione in una garanzia piena, tra cui la quotazione in Borsa. In più c’ erano anche le consuete market adverse conditions: quando abbiamo visto che si erano verificate, e che la banca non era libera di far slittare l’ operazione per onorare le richieste della Bce, abbiamo informato le autorità competenti e si è avviato il cantiere di Atlante».
Il contratto formalmente è segreto, ma come riportato anche dai media italiani, è stato allegato integralmente nel prospetto informativo di Pop Vicenza. È stato siglato il 17 settembre 2015 dalla divisione tedesca di Unicredit e poi girato a fine ottobre alla capogruppo italiana. È una lettera di intenti indirizzata a «Mr. Francesco Iorio, Ceo of Popolare di Vicenza», con in coda i pareri degli avvocati che argomentano sulle sue interpretazioni.
Tra le condizioni previste nei 14 punti c’è che Pop Vicenza da popolare diventi una spa, che l’ aumento sia senza diritto di opzione, che ci sia il consenso della Bce al piano, che ci siano le condizioni favorevoli alla quotazione. Ma soprattutto che la quotazione riesca. Come ricostruisce Il Messaggero “Unicredit, dopo aver sondato gli investitori, ha preso atto che quelle condizioni non c’erano. È stato allora che è partito il braccio di ferro legale tra le due banche: se la garanzia avesse avuto comunque valore anche senza Ipo, Vicenza sarebbe finita nella pancia del garante”.
Ma Unicredit non avrebbe «mai» potuto assorbire Pop Vicenza, ha specificato venerdì Vita: «Lo avrebbero impedito le condizioni avverse del mercato, che non abbiamo comunicato per evitare ulteriori danni al sistema». Era uno scontro che non poteva finire in tribunale. Si è risolto al Tesoro e in Banca d’ Italia. Con il varo di Atlante.
Intanto arrivano nuove grane per Unicredit e gli affari nell’Est d’Europa. Il piano per l’assunzione del diretto controllo delle attività nell’Europa centrale e dell’est da Bank Austria potrebbe subire infatti ritardi, dal momento che la separazione potrebbe rivelarsi più costosa del previsto.
A riportarlo è il quotidiano austriaco Der Standard, che viene a sua volta citato da Bloomberg. Unicredit intende completare la separazione entro settembre, così da renderla valida a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo. Un portavoce di Bank Austria ha affermato a Der standard che la riorganizzazione verrà completata entro il 2016.