NEW YORK (WSI) – Politica estera e politica monetaria, sovranità ed economia, sono tra loro, nella realtà attuale, in stretto rapporto. Le proposte in campo economico non possono, pertanto, che esprimere anche una linea di politica estera definita e netta. L’esperienza, in questi due ambiti, dei precedenti governi – e, in particolare, dell’esecutivo “tecnico” guidato da Mario Monti – è stata fallimentare.
L’Italia è stata spinta ad una più forte “integrazione” all’interno di una certa politica europea espressione dell’intesa tra la Germania e le nazioni ad economie forti del Nord, diretta alla difesa della moneta unica e all’adozione delle misure di austerity e rigore introdotte in Italia a seguito della ratifica del cosiddetto fiscal compact, ossia il trattato che introduce i meccanismi di stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria e che mira «a salvaguardare la stabilità di tutta la zona euro».
Per realizzare questo presunto “salvataggio” dell’euro, tuttavia, abbiamo assistito, nel nostro Paese, a qualcosa che fino a poco tempo fa sarebbe apparso impossibile: l’attacco ai diritti e ai redditi dei lavoratori, la distruzione di quel “patto sociale europeo” che ha portato decenni di relativo benessere e, infine, lo svuotamento della democrazia, necessario affinché si metta a tacere ogni forma di possibile opposizione.
Per più di un anno si è ripetuto che queste misure erano “necessarie” e che opporsi ad esse avrebbe significato portare il Paese sulle soglie del “rischio Grecia”. Tutto questo era falso. La “crisi” del debito sovrano, infatti, deriva da due problemi fondamentali presenti nel nostro Paese: l’eccessivo indebitamento e l’assenza di crescita economica. Entrambi questi fenomeni sono riconducibili all’avvenuta costruzione di un’unione monetaria tra economie tra loro profondamente diverse.
Ed in poco più di un decennio l’euro ha amplificato queste differenze e remato contro la convergenza:
1) L’eccessivo indebitamento è, nonostante sia stato ripetuto ad oltranza il contrario, il problema di minor rilievo. Il debito, quando diventa esponenziale, viene infatti sempre cancellato. In passato avveniva con le guerre, negli anni Ottanta con il rifinanziamento a tassi molto più bassi, oggi con meccanismi di “cancellazione occulta”.
Sia il mercato finanziario che le istituzioni internazionali come Fmi, Ue e Bce sono favorevoli ad una cancellazione del debito, che vedremo prendere forma nel corso del 2013 e 2014. Il debito greco è già stato ridotto del 75% e si parla di ulteriori tagli, e tutto ciò non ha distrutto il sistema finanziario, anzi è stato benefico.
2) Il vero problema è, allora, la mancata crescita. L’euro si è rivelata una moneta troppo forte per le «economie della periferia» come la nostra, in quanto impedisce loro di usufruire del meccanismo di rivalutazione (delle monete delle economie forti come la Germania o l’Olanda) e di svalutazione (delle monete delle economie deboli come la nostra). Bloccato questo meccanismo, si impedisce alle economie deboli di guadagnare competitività attraverso l’aggiustamento dei cambi.
Si è ripetuto, in questo ultimo anno, che la svalutazione determinerebbe effetti catastrofici, come l’inflazione, sebbene non esista nessuna legge economica che imponga al tasso di svalutazione di “riflettersi” in modo automatico su quello di inflazione.
L’Italia, in passato, è già uscita una volta da un sistema a cambi fissi svalutando la propria moneta: era il settembre del 1992 e l’Italia abbandonava il Sistema monetario europeo, svalutando del 7%.
Nel periodo successivo la lira continuò a deprezzarsi, ma l’inflazione non ne risentì. Il tasso di aumento dei prezzi addirittura diminuì passando dal 5% del 1992 al 4% del 1993 fino al 3% del 1994. L’integrazione monetaria ha, inoltre, reso meno costose e più facili le importazioni del made in Germany mettendo l’industria della “periferia” in diretta concorrenza con quella del “centro”. Il risultato è stato lo smembramento di gran parte della prima a vantaggio della seconda.
L’abbattimento delle barriere monetarie ha dunque penalizzato le economie deboli ed avvantaggiato quelle forti. Senza una ripresa economica seria, l’Italia non avrà alcuna possibilità di uscire dalla crisi provocata dall’euro e dalle politiche economiche imposte dall’Europa.
È necessario, pertanto, che l’Italia adotti una politica estera diretta a rinegoziare con l’Europa le condizioni di adesione del nostro Paese al fiscal compact ed alla politica monetaria europea.
L’Unione monetaria è stata fallimentare in quanto ha imposto un’unica moneta a due differenti economie: quelle centrali e forti, rappresentate dalla Germania, e quelle dei Paesi deboli e periferici, come l’Italia o la Spagna.
L’”integrazione” europea non può, però, consistere nella riduzione di queste economie deboli a semplici “periferie” di un “impero centrale” rappresentato dalla Germania e dalle economie del Nord. Si dovrà, allora, lavorare in accordo con gli altri Paesi “deboli” per una proposta di un euro a due velocità. Ciò a condizione che questa moneta abbia la sua Banca centrale controllata non dall’Ue ma dalle nazioni della periferia.
E questo perché i Paesi “periferici” non hanno bisogno di una politica d’austerità, ma di una politica espansiva, di sgravi fiscali e di un aumento di liquidità. Se non venisse perseguita questa strada, le nazioni della periferia si incammineranno verso un destino di profonda decadenza economica e finanziaria dalla quale non sarà facile uscire. La soluzione, allora, non potrebbe essere che quella di un’uscita unilaterale e, forzata, da parte dell’Italia, dall’euro.
Paolo Becchi è docente ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Genova.
Loretta Napoleoni è un’economista, autrice di vari libri, che vive a Londra.
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