Società

UNIPOL: TUTTO IL PEGGIO DEL CAPITALISMO

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

* Fabrizio Tedeschi e´ editorialista di Panorama Economy. Consulente di grandi banche e gruppi finanziari, per otto anni e´ stato responsabile della Divisione Intermediari della Consob a Milano.

(WSI) – È il sogno di tutti i manager e consiglieri di una società quotata o
non. Il sogno è di non essere posseduti da nessuno ed essere padroni di
se stessi, in tutto e per tutto. Per raggiungere questo scopo, negli
anni sono state utilizzate tutte le formule possibili: dalla golden
share alla società in accomandita, all’utilizzo di fondazioni estere di
varia natura. Il sogno è che la società diventi proprietaria delle
proprie azioni in misura tale da impedire intrusioni di soci esterni non
graditi.

Ma la realizzazione del sogno è impedita da norme contro l’acquisto di
azioni proprie o la sottoscrizione reciproca di azioni. Unipol, guidata
da Giovanni Consorte, però è andata molto vicina al sogno. Perché la
compagnia assicurativa di origine cooperativa è quotata a Piazza Affari
e, quindi, tendenzialmente aperta alla democrazia societaria. Così però
non è. Il gruppo bolognese possiede ben il 38% di una finanziaria di
nome Finec holding che, insieme ad azionisti fidati, di fatto controlla
e consolida nel proprio bilancio. Questa società detiene l’intero
capitale sociale di Ariete, che a sua volta controlla un quinto delle
azioni di Holmo, con una percentuale che garantisce pesanti vincoli
sull’attività aziendale. Quest’ultima azienda detiene a sua volta la
maggioranza assoluta di Finsoe, proprietaria del 50,2% della stessa
Unipol. Il cerchio si chiude.

Dal punto di vista strettamente
patrimoniale l’incidenza economica è minima in quanto l’effetto
percentuale del possesso di Unipol sulle proprie azioni, considerata la
diluizione di tutta la catena, è inferiore al 2%.
Dal punto di vista della vita sociale il danno è invece irreparabile,
poiché si è introdotta una specie di golden share in mano ai manager
che, di fatto e anche di diritto, possono decidere la composizione degli
organi sociali e bloccare qualunque iniziativa di scalata ostile. Così
il mondo cooperativo è riuscito a fare ancora meglio del capitalismo
italiano (o peggio, a seconda dei punti di vista) in materia di
controllo aziendale. Perché sta raggiungendo il risultato di essere il
controllante di se stesso, con buona pace delle regole di corporate
governance.

Copyright © Economy per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved