E’ stato pari a un miliardo di dollari nel 2006 l’export di vino made in Italy invecchiato senza usare trucioli di legno negli Stati Uniti. Il risultato è notevole, se si pensa che l’aumento del flusso commerciale è stato del 7,8 per cento rispetto al 2005. Ma ancor di più conta il fatto che, secondo i dati diffusi dall’Italian food&wine institute, la concorrenza australiana, che invece ricorre alla tecnica dell’invecchiamento con i trucioli, ha visto crollare le proprie spedizioni negli Usa del 4,8 per cento. Secondo la Coldiretti questo è un campanello d’allarme per il ministero delle politiche Agricole che ha autorizzato l’uso della segatura di legno per invecchiare il vino nell’80 per cento della produzione nazionale. L’organizzazione agricola si riferisce al decreto firmato lo scorso 2 novembre dal ministro dell’Agricoltura, Paolo De Castro, in seguito all’approvazione del regolamento comunitario 1507/2006 che prevedeva la possibilità per i paesi membri di adottare misure più restrittive per tutelare la qualità e la tradizione della produzione vinicola nazionale. Il decreto di De Castro, infatti, vieta sì l’utilizzo dei trucioli di quercia nei vini italiani di qualità, ma limitatamente alle denominazioni Docg e Doc. Quindi, visto che i vini a Indicazione geografica tipica coprono circa il 40 per cento della produzione nazionale e sono una delle voci più importanti dell’export, il vantaggio accumulato sino a ora verso la concorrenza internazionale nei prossimi anni rischia di andar perduto. Per il vino made in Italy il mercato americano è un patrimonio da difendere. La produzione italiana copre da sola il 31 per cento delle importazioni negli States, seguita proprio dall’Australia che si ferma al 29 per cento e, con il 14 per cento, dalla Francia che dopo anni di difficoltà ha invertito la tendenza e ha fatto segnare il tasso di crescita più elevato (+26 per cento). “Per l’Italia si tratta di un risultato incoraggiante”, ha osservato la Coldiretti. “Il vino è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale che trova negli States il primo mercato extracomunitario di sbocco con un quarto del valore totale delle esportazioni di vino made in Italy”. Proprio per questo, ha proseguito la nota dell’organizzazione agricola “ci attendiamo che venga al più presto emanato un nuovo decreto che, anche sulla base delle indicazioni del Parlamento, estenda il divieto dell’uso dei trucioli e attivi un adeguato sistema di controlli”. Nell’attesa di un cambiamento di rotta da parte del governo, Coldiretti ha presentato un ricorso al Tar insieme a Città del Vino, Federconsumatori, Codacons, Adusbef, Adoc, Slow-food Italia, Legambiente e alcuni produttori titolari del riconoscimento di denominazioni di origine controllata. L’obiettivo è di ottenere “la riscrittura delle regole sulle pratiche e i trattamenti enologici autorizzati sulla base del riconoscimento dei vizi di violazione della normativa comunitaria per immotivata disparità di trattamento rispetto a tutti i vini a indicazione geografica tipica”. Si tratta, ha concluso Coldiretti, “di difendere la qualità e l’immagine della produzione italiana che, garantita per l’assenza di trucioli, ha saldamente conquistato la leadership nei confronti dei concorrenti australiani dove queste pratiche sono invece ammesse”.