ROMA (WSI) – E’ pronto il Conclave che eleggerà il successore di Benedetto XVI. “Preghiamo che Dio conceda un Papa dal cuore generoso”, è stato l’auspicio del cardinale decano Angelo Sodano alla “Pro Eligendo Pontefice”.
La sala stampa vaticana ha comunicato che “dalla Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, preceduti dalla Croce e seguiti dal Libro dei Vangeli, al canto delle Litanie dei Santi, i 115 cardinali elettori si dirigono processionalmente alla Cappella Sistina dove, dopo il canto del Veni Creator, pronunziano il Giuramento prescritto.
Quindi il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, Mons. Guido Marini, intima l”Extra omnes’ e coloro che non partecipano al Conclave lasciano la Cappella Sistina. Restano solamente il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche e il Cardinale Prosper Grech, per la meditazione, terminata la quale anch’essi lasciano la Sistina. Ha inizio così il Conclave”.
Alle 17.30 con l'”Extra omnes”, dopo la meditazione del cardinale Prosper Grech e il giuramento sul Vangelo, dovrebbe tenersi la prima votazione che, con ogni probabilità, darà fumata nera intorno alle 20.
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Cosi’ sono distribuiti geograficamente i 115 cardinali con diritto di voto: 28 provengono dall’Italia e 32 dal resto d’Europa; 20 dal Nord America e 13 dal Sud America; 11 dall’Africa e altrettanti dall’Asia e Oceania.
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I cardinali elettori sono partiti in processione dalla Cappella Paolina, nella Prima Loggia del Palazzo Apostolico Vaticano, verso la Cappella Sistina per l’ingresso in Conclave. La processione, che passa per la Sala Regia, si svolge al canto delle Litanie dei Santi. I 105 cardinali elettori sono entrati nella Cappella Sistina per il Conclave. Qui, dopo il canto del ‘Veni Creator’, pronunciano il giuramento prescritto.
“Il Signore ci conceda un Pontefice che svolga con cuore generoso la luminosa missione” al servizio di una Chiesa chiamata alla carità e “alla massima opera di carità che è l’evangelizzazione”. Il cardinale decano, Angelo Sodano, prega così nella Messa ‘Pro eligendo Pontifice’ che precede il conclave.
La Basilica di San Pietro è stracolma, serviranno centodieci sacerdoti per distribuire la Comunione, e i fedeli rimasti fuori seguono la celebrazione dai maxischermi in piazza. I centottanta porporati, tra elettori e non elettori, entrano in basilica in processione, baciano l’altare e si sistemano intorno per concelebrare. Seguono nelle prime file vescovi e arcivescovi e le telecamere inquadrano nei primi posti anche mons. Georg Gaeswein, il segretario del Papa emerito.
Ed è proprio per Benedetto XVI l’unico momento della Messa che esce fuori dalla solennità della liturgia. Sodano lo nomina e lo ringrazia nell’omelia e cardinali e fedeli rispondono con un caloroso e lunghissimo applauso. La Messa è celebrata in latino, a parte alcune letture e preghiere, mentre il salmo e l’omelia vengono detti in italiano. Le preghiere oggi sono concentrate soprattutto sui cardinali e sulla Chiesa. L’invocazione che ricorre è che sia “unita”. Ed é ancora il cardinale decano a sottolineare: “Tutti noi dobbiamo collaborare ad edificare l’unità della Chiesa”. Anche il Vangelo di Giovanni, scelto per accompagnare i cardinali in conclave, richiama all’unità e all’amore reciproco: “Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Le preghiere, rivolte dai fedeli, risuonano anche in due lingue lontane da Roma: l’africana swahili e l’asiatica malayalam. Proprio a rendere l’idea di quella Chiesa universale che si stringe nell’attesa del nuovo Pastore. “La missione del Papa”, ha detto Sodano, come di ogni “buon pastore, è dare la vita per le sue pecore. E’ nel solco di questo servizio di amore verso la Chiesa e poi verso l’umanità intera che gli ultimi pontefici sono stati artefici di tante iniziative benefiche anche verso i popoli e la comunità internazionale, promuovendo senza sosta la giustizia e la pace”. Un Papa per la Chiesa, dunque, ma anche per tutta l’umanità.
Salgono sull’altare per il momento della Consacrazione, assieme al cardinale decano, anche il Camerlengo Tarcisio Bertone, Giovanni Battista Re, primo dell’ordine dei vescovi, il protodiacono Jean-Luis Tauran e Godfried Danneels, primo dell’ordine dei presbiteri. Terminata la Messa tutti i cardinali escono di nuovo in processione, accompagnati dalla musica sacra che ha visto in Basilica tre cori. I più anziani, i non elettori, tornano alle loro abitazione da dove seguiranno le fumate, forse già da stasera, mentre i 115 che dovranno da stasera votare per il Papa, vanno a Santa Marta in attesa dei riti che porteranno all’Extra Omnes nel pomeriggio. (Ansa-TMNews)
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di Gian Guido Vecchi
ROMA (WSI) – Occhio all’«effetto Botiglia», reso eterno dal compianto cardinale Mario Casariego y Acevedo: erano passate da poco le cinque del pomeriggio di lunedì 16 ottobre 1978, un giovane cardinale avanzava inesorabilmente nello spoglio dei voti e il porporato guatemalteco si chinò verso il vicino, «ma chi è ‘sto Botiglia?».
Il confratello, Giuseppe Siri, lo folgorò con lo sguardo. Poco dopo il povero Casariego s’avvicinò reverente per l’atto di obbedienza al Sommo Pontefice, si sarebbe sotterrato, ma Wojtyla gli sorrise affettuoso, «ora lei sa chi è Botiglia!».
Niente è meno scontato di un Conclave, la sorpresa è sempre dietro l’angolo e le (presunte) regole ingannano, del resto pure il detto che «chi entra Papa esce cardinale» non è vero: Paolo VI, per dire, era il favorito.
Non resta che fissare il comignolo della Sistina: da oggi, e finché il cardinale protodiacono non pronuncerà l’habemus Papam! dalla loggia di San Pietro, sarà il fattore tempo a indicare al mondo come stanno andando le cose nel segreto assoluto del Conclave.
Primo e unico scrutinio questo pomeriggio, altri quattro domani, nel caso i due di giovedì mattina: se per allora non ci sarà ancora stata la fumata bianca, aumenteranno le possibilità degli outsider.
Ma nei primi cinque-sette scrutini, se la vedranno anzitutto (almeno) quattro nomi favoriti della vigilia, gli stessi che apparivano più «solidi» fin dal momento della rinuncia di Benedetto XVI, un mese fa: a cominciare dal cardinale Angelo Scola, 70 anni, arcivescovo di Milano, che gode di un forte sostegno fra gli europei e per il quale negli ultimi giorni hanno lavorato gli «ambasciatori», come il cardinale di Bologna Carlo Caffarra, impegnati a recuperare consensi anche fra i connazionali.
Chi lo sostiene è fiducioso, si arriva a calcolare sia cresciuto da una trentina a «45-50» voti potenziali. Le riunioni informali sono proseguite anche ieri sera, «ormai gli elettori si sono chiariti le idee», si dice, però c’è da considerare che diversi porporati custodiscono due o tre opzioni.
Così, nel primo scrutinio di oggi, al nome di Scola si aggiungeranno almeno altri tre papabili: il canadese Marc Ouellet, teologo «raztingeriano» come Scola; uno dei tre statunitensi più in vista – dovrebbero scegliere di puntare subito su Timothy Dolan,New York, anch’egli in crescita nei consensi, ma ci sono pure il cappuccino di Boston Sean O’Malley e Donald Wuerl, Washington -; e il brasiliano Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, il candidato latinoamericano che è sostenuto anche dal «partito» molto influente dei diplomatici, ma per questo (la Curia non è al massimo della popolarità, di questi tempi) rischia di affrontare l’opposizione di chi tende a etichettarlo come «curiale».
Del resto la novità principale e più importante, rispetto al Conclave del 2005, sta proprio qui: una candidatura non abbastanza forte viene bloccata più facilmente. Al momento è un rischio che vale per tutti i favoriti. Gli elettori sono 115, per eleggere il Papa occorrono i due terzi dei voti e cioè almeno 77. E Benedetto XVI, nel 2007, ha voluto che la stessa soglia valga anche nel caso di ballottaggio dopo il trentaquattresimo scrutinio.
Al ballottaggio, prima, bastava la metà più uno dei voti. Ora, nessuno immagina si arrivi a uno stallo fino all’undicesimo giorno, però la regola dei due terzi è importante psicologicamente: chi vuole bloccare una candidatura sa di poterlo fare a oltranza.
Il Conclave, d’altra parte, sfugge alle categorie politiche ed è per questo tanto più imprevedibile. Le metafore belliche non rendono l’idea. Molti dei cosiddetti «antagonisti» coltivano rapporti autentici di stima da decenni. Nordamericani ed europei, in particolare, potrebbero far convergere i voti su uno o l’altro dei loro candidati. Nello sguardo degli elettori usciti ieri dalla decima congregazione non c’era tensione, semmai concentrazione.
E una serenità diffusa: «Vede, rispetto all’altro Conclave c’è, per così dire, molta più scelta», sorrideva ieri un porporato di grande esperienza in Curia. «Il fatto che si facciano più nomi non significa che i cardinali non sappiano chi eleggere Papa: significa che nel collegio ci sono diverse personalità che avrebbero lo spessore spirituale e culturale per diventare Successore di Pietro, e questa è una cosa molto bella per la Chiesa».
Primo, secondo giorno. Se giovedì la fumata bianca si facesse ancora attendere, potrebbero spuntare altri nomi.
L’attesa, Oltretevere, è di un Conclave «breve», ma la prospettiva di un blocco «multiplo» tra i favoriti non è solo teorica. In caso di stallo, o magari prima, potrebbero così essere votati altri cardinali considerati papabili dagli stessi confratelli e che hanno fatto ottima impressione durante le congregazioni: il messicano Francisco Robles Ortega, l’ungherese Péter Erdö, l’austriaco Christoph Schönborn, gli italiani Gianfranco Ravasi e Angelo Bagnasco.
In Asia ci sono il giovane filippino di madre cinese Luis Antonio Gokim Tagle, 55 anni, il cardinale John Tong Hon, vescovo di Hong Kong. Per l’Africa più che il ghanese Peter Turkson sale Robert Sarah, 67 anni, guineano di Curia.
Senza contare che alla fine può sempre saltar fuori il «Botiglia» di turno: quando alle 19.35 Giovanni Paolo II si affacciò a salutare la folla incuriosita, c’erano giornalisti di mezzo mondo che sfogliavano freneticamente le biografie dei porporati.
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di Andrea Tornielli
ROMA (WSI) – Sul conclave soffia il vento del cambiamento. Per la gestione della Curia, per le finanze vaticane e per una nuova collegialità che funzioni anche da deterrente rispetto al rischio di una gestione «privatistica» dei beni della Chiesa.
L’ultima congregazione generale, ormai alla vigilia del conclave, ha visto tornare protagonista lo Ior, la «banca vaticana», con uno scambio tra il cardinale Tarcisio Bertone e il Prefetto della Congregazione dei religiosi, il brasiliano Joao Braz de Aviz. Anche un curiale di lungo corso, come il cardinale Giovanni Battista Re, che dentro la Sistina svolgerà le funzioni di decano, prendendo la parola ha detto che la Curia va cambiata. Mentre in difesa della Curia è intervento il «papabile» brasiliano Scherer.
La spinta per la nuova evangelizzazione, punto principale nell’agenda del nuovo Pontefice e tema centrale nella discussione di questi giorni, non potrà essere disgiunto da una riforma delle strutture curiali, da una maggiore collegialità, e anche da una seria valutazione sull’opportunità di mantenere in vita una banca Oltretevere.
Il portavoce vaticano padre Federico Lombardi ha detto che Bertone, «in forma concisa», ha parlato della «natura dello Ior» e del «procedimento di inserimento nel sistema internazionale dei controlli Moneyval» contro il riciclaggio. Lombardi ha anche ammesso il desiderio di diversi cardinali di vederci più chiaro sulle recenti vicende della «banca vaticana» che da pochi giorni ha un nuovo presidente.
Che cos’è accaduto dunque in aula? Bertone ha criticato Braz de Aviz per avere manifestato sabato scorso il suo dissenso sulla gestione dello Ior e più in generale della Curia romana, e per il fatto che quel dissenso fosse stato reso pubblico.
Sospettandolo di fatto di aver passato alla stampa italiana il resoconto del suo intervento. Braz de Aviz non ha lasciato cadere nel vuoto le parole dell’ex Segretario di Stato. Ha chiesto nuovamente la parola e ha seccamente smentito di aver trasmesso qualcosa all’esterno. Piuttosto, è stato il sospetto del porporato brasiliano, le informazioni potrebbero essere state filtrate dall’«organizzazione». Numerosi cardinali, a questo punto, hanno applaudito.
A di là di questo scambio di battute, che testimonia comunque la libertà e la franchezza con cui si è discusso, sono stati diversi gli interventi durante l’ultima settimana nel corso dei quali sono state richieste notizie sullo Ior. E anche sulle circostanze ancora non chiarite del licenziamento del banchiere Ettore Gotti Tedeschi, avvenuto alcuni giorni dopo che quest’ultimo aveva inviato una lettera a Bertone mettendolo a conoscenza della sua volontà di «sfiduciare» il direttore della banca vaticana Paolo Cipriani e un’altra persona del management.
Padre Lombardi ha tenuto a precisare che «la situazione dello Ior non è il punto principale per avere criteri sull’elezione del Papa». Sarebbe in effetti fuorviante pensare che gli scandali veri o presunti riguardanti la gestione delle finanze vaticane abbiano monopolizzato la discussione.
I cardinali, anche quelli che vengono da fuori, anche quelli – e sono tanti – che invocano un deciso cambiamento di rotta, sanno di dover eleggere un nuovo Papa, un uomo spirituale, non un esperto di antiriciclaggio. Ma sono quanto mai eloquenti le parole di un «papabile» africano, l’arcivescovo di Abujia John Onaiyekan, che in un’intervista a La7 ha detto: «Lo Ior non è essenziale al ministero del Santo Padre come successore di Pietro. Non so se San Pietro avesse una banca. Lo Ior non è fondamentale, non è sacramentale, non è dogmatico».
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