“Temo che l’inflazione possa non diminuire così rapidamente“, ha ammonito ieri Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase & Co., in un’intervista a El Financiero BloombergTV, raffreddando l’ottimismo degli investitori sulla scia dei dati sull’inflazione, pubblicati negli scorsi giorni in America ed Europa, risultati boccata d’ossigeno su entrambe le sponde dell’Atlantico. Un monito che fa riflettere sui molteplici rischi che ancora oscurano l’orizzonte dei mercati finanziari e che ricordano bruscamente come sia prematuro, anche per le Banche Centrali, cantar vittoria nella battaglia contro il surriscaldamento dei prezzi, soprattutto alla vigilia di un venerdì 17 che, per i più superstiziosi, è considerato un giorno sfortunato. Lo ha rimarcato anche lo stesso Dimon: “la Federal Reserve ha fatto bene a sospendere i rialzi per ora, ma potrebbe dover fare un po’ di più”.
Un venerdì 17 che sarà anche il giorno della “pagella” per l’Italia, poiché l’agenzia di rating Moody’s comunicherà a mercati chiusi il proprio giudizio sul Belpaese. Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia sono “molto fiduciosi” sul fatto che, dopo aver passato le valutazioni di S&P, Dbrs e Fitch, anche Moody’s confermerà il giudizio Baa3. Scenario su cui concordano gran parte degli analisti. Se, al contrario, Moody’s optasse per un taglio, il rischio, secondo Barclays, è che lo spread tra BTP e Bund tedesco, che ora viaggia attorno a quota 176 punti, raggiunga i 250 punti base, in conseguenza a un deterioramento delle prospettive fiscali di breve termine per effetto di una crescita più bassa, di una spesa per interessi più elevata e di una mancata riduzione di debito e deficit. In pratica, non solo un debito pubblico con interessi più cari ed effetti sulle obbligazioni governative, ma anche un peggioramento della reputazione italiana, nonostante l’economia nostrana sia abbastanza variegata, vivace ed internazionale da guadagnarsi il nono posto nella classifica mondiale.
Recentemente anche il Fondo Monetario Internazionale ha gettato ombra sullo Stivale, dichiarando che “le misure contenute nella manovra del Governo italiano, la Legge di Bilancio da 24 miliardi, non sono sufficienti a sostenere e rinvigorire la crescita del PIL tricolore. L’Italia dovrebbe aumentare la produttività e lavorare duro per spendere bene i fondi del PNRR”.
In risposta a un eventuale declassamento italiano e all’opinione del Fondo Monetario Internazionale, va però ricordato il fatto che tutta l’economia globale nel complesso è in rallentamento rispetto alla crescita prevista, soprattutto nei Paesi sviluppati e meno negli Emergenti. Il Fondo Monetario Internazionale stesso, nel suo World Economic Outlook presentato a Marrakesh all’inizio di ottobre, prevede che il Prodotto Interno Lordo globale segnerà un +3% quest’anno, rispetto al +3,5% registrato nel 2022, per poi planare a un +2,9% nel 2024.
Una frenata globale causata principalmente dal persistere della guerra in Ucraina, dalla stretta monetaria anti-inflazione delle principali Banche Centrali nel mondo, dalla crescente frammentazione dell’economia a livello geografico, dal ritiro degli aiuti pubblici in alcune nazioni e dall’aumento degli eventi climatici estremi. Senza contare le nuove incognite in Medio Oriente.
Per le economie avanzate, il FMI prevede una decelerazione dal 2,6% nel 2022 a 1,5% nel 2023 e 1,4% nel 2024, con una spinta più forte del previsto negli Stati Uniti, escludendo una recessione ma confermando la frenata post pandemia e shock energetico.
I rischi geopolitici potrebbero superare quelli economici
Nonostante il rallentamento economico non si sia ancora verificato e venga esclusa una recessione, nel 2024 le minacce più significative potrebbero essere di natura geopolitica, alla luce della volatilità nel breve termine e delle pressioni inflazionistiche che queste potrebbero generare sul lungo periodo. A soffrirne sarebbero maggiormente le aziende, in quanto individuare forniture energetiche alternative o sviluppare nuove catene di approvvigionamento comporta costi particolarmente elevati. Tra i rischi geopolitici più importanti figurano l’escalation del conflitto in Medio Oriente e l’acuirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Cina. A queste si aggiunge inoltre l’incognita relativa alle elezioni statunitensi, il cui effetto sui mercati resta imprevedibile.