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Veneto Banca: la parabola dell’ex AD Consoli finito in manette

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ROMA (WSI) – Veneto Banca è finita nel mirino della magistratura oggi, o meglio il suo ex amministratore delegato, per ostacolo alla vigilanza, ma gli albori della storia risalgono a tre anni fa con le ispezioni di Bankitalia. A quelle sono seguite le indagini della Guardia di Finanza nel 2015 che hanno poi portato all’arresto ai domiciliari di Vincenzo Consoli. Su ordine del Gip del Tribunale di Roma i finanzieri hanno eseguito sequestri per 45 milioni di euro; 14 persone sono indagate. La banca, ex Popolare di Montebelluna, ha detto che collaborerà con le autorità.

Consoli, che non è più Ceo da ormai un anno e mezzo, è noto per aver fatto lievitare l’istituto di credito di Treviso, portandolo ai vertici delle cronache finanziarie con le tantissime acquisizioni: Intra, Carifac, Banca Apulia e Bim, Banca Italo-Rumena. La “banca di campagna”, così veniva soprannominata, per decenni è stata la cassaforte degli imprenditori del Nord-Est e dei piccoli risparmiatori oculati della Marca trevigiana e del Veneto.

Ma ultimanente sono venute a galla le lacune della precedente gestione. Malgrado la sede faraonica di Montebelluna e nonostante l’intraprendenza con cui i passati management hanno gestito l’istituto, le falle ora sono evidenti. Come la sua “sorella” Pop Vicenza, anche Veneto Banca è un’altra protagonista nello scenario delle banche che hanno visto perdere rapidamente valore e patrimonio del territorio.

Il Guardian ha di recente fatto un reportage sulla Pop Vicenza, definita il “lato oscuro della crisi bancaria italiana“, che è costata milioni di euro ai cittadini del Veneto, ma che rischia di avere ramificazioni negative importanti anche in tutto il paese e nel resto dell’Eurozona, visto anche come è interconnesso il sistema bancario europeo.

Veneto Banca: dramma per risparmiatori

Per i risparmiatori di Veneto Banca il dramma è invece iniziato con le obbligazioni convertendo. Titoli che venivano venduti a risparmiatori inconsapevoli che l’obbligazione poteva trasformarsi in titoli azionari. E così avvenne per circa 300 milioni di euro. Ma il pentolone viene scoperchiato nel 2013 quando Bankitalia effettuò alcune ispezioni, il cui esito fu trasmesso alla Procura di Roma e poi a quella di Treviso per competenza per il reato di aggiotaggio, mentre il fascicolo sull’ostacolo alla vigilanza rimase a Roma dove ha sede la Banca d’Italia.

L’inchiesta della magistratura aveva l’obiettivo di verificare se i vertici di Veneto Banca avessero messo in atto una politica di finanziamenti volti all’acquisto di azioni proprie, attraverso anche le cosiddette “operazioni baciate”. Nel frattempo sono proprio gli azionisti a far sentire la propria voce, i loro risparmi vengono azzerati, sono migliaia i cittadini che reclamano giustizia. Le azioni della banca popolare precipitano insieme alle ispezioni di Bankitalia e nel febbraio del 2015 nella sede della banca a Montebelluna entra anche la Finanza, in quell’occasione Consoli si dimetterà.

A quel punto i titoli di Veneto Banca hanno subito un tracollo in Borsa. Da quasi 40 euro per azione, esattamente 39,50 euro si arriva a 30,50, questo il prezzo per azione. Il “crollo controllato” del titolo della banca è del 22,8% e brucia in totale oltre un miliardo di euro dei 4,43 di capitalizzazione, passando quindi a 3,42 miliardi. Il deprezzamento sarà sancito nel corso dell’assemblea del 18 aprile , praticamente azzerato, che darà il via alla svalutazione corroborato da fischi e proteste da parte dei risparmiatori.

Le indagini hanno rivelato la volontà della banca di dare un’immagine di solidità patrimoniale maggiore di quella reale rafforzando così la fiducia nel management e assicurarsi, di fronte a Banca d’Italia e Consob, una consistenza patrimoniale superiore a quella reale per rientrare nei parametri di sicurezza fissati per gli istituti bancari. Questo avrebbe così consentito anche di fissare valori di sovrapprezzo delle azioni della banca rispetto al valore reale.

La Popolare di Montebelluna dell’era Consoli, divenuta poi Veneto Banca, ha cambiato volto con l’uscita di scena dell’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli che ne aveva guidato le sorti per 27 anni. Preveniente dal Credito Italiano, Consoli vi aveva fatto ingresso nel 1989 diventandone direttore nel 1997 e poi AD nel 2008. Il 30 luglio 2015 il manager di Matera si dimette sulla scia delle inchieste delle Fiamme Gialle.

Il nuovo Cda ha poi avviato la trasformazione della Popolare in Spa e dopo un anno Consoli è finito agli arresti per ostacolo alla vigilana. Come scrive Askanews, “tornano alla mente le parole del presidente del Veneto, Luca Zaia che nel dicembre 2015 parlando di Veneto Banca sottolineava”:

“Nessuno parla del vero tema e cioè l’informazione data o non data a chi comprava azioni, a me risulta che questa banca ha emesso oltre 300 milioni di euro di obbligazioni convertendo, vuol dire che la banca può trasformare le obbligazioni in azioni. Certo, gli azionisti le carte le potevano leggere, il problema è la caratteristica di quel prodotto. Tu sottoscrivi un obbligazione e pensi di essere al sicuro, ma se la banca decide la converte in azione? Ho incontrato persone di 90 anni che hanno sottoscritto questi contratti. Il vero tema è capire chi l’ha venduto questo prodotto, a uno di 90 anni non gli fai sottoscrivere un titolo speculativo“.