Venezia – I sessanta consiglieri regionali del Veneto hanno il “fuori busta”. Un po’ come quegli operai che a fine mese, oltre allo stipendio regolare, si vedono allungare dal padroncino, a parte, il “nero”. Solo che qui, per gli inquilini di Palazzo Ferro Fini, stiamo parlando di una somma che supera la paga di un operaio: 2.100 euro al mese. Netti. Pagati sull’unghia e, in quanto catalogati come rimborso spese pur senza mostrare una sola pezza giustificativa, esentasse. Il rimborso, infatti, è forfettario. Da alcuni mesi quel rimborso non compare più in busta paga proprio per evitare che finisca nella parte imponibile. Il rischio – raccontano – c’era.
Per non dire dei controlli che qualche solerte funzionario dell’Agenzia delle Entrate potrebbe, metti mai, sognarsi di fare. Così, al Ferro Fini da aprile funziona la seguente partita di giro: il consiglio regionale dà i soldi ai gruppi consiliari, i quali gruppi consiliari distribuiscono ogni mese ai propri consiglieri 2.100 euro a testa. Ci hanno raccontato che in Veneto hanno fatto risparmi? Che hanno tagliato i consiglieri e i vitalizi (dalla prossima legislatura)? Che hanno ridotto le indennità? Vero. Si erano però dimenticati di specificare il fuori busta e non ci avevano nemmeno detto che i soldi per i rimborsi spese vengono presi dal “fondo di riserva per le spese impreviste”. Del resto, quando mai s’è vista una deliberazione dell’Ufficio di presidenza del consiglio regionale? Tutto secretato. Perfino la legge (la numero 4/2012) che ha ridotto le indennità è peggio della pagina della sfinge della Settimana enigmistica: un “omissis” dietro l’altro. Comunque, checché ne dicano i signori dottori commercialisti, i rimborsi spese forfettari per i politici veneti sono esentasse.
La storia è la seguente. All’inizio dell’anno il consiglio regionale riduce l’indennità per gli eletti ed è poi l’ufficio di presidenza (presidente Clodovaldo Ruffato, Pdl; vicepresidenti Matteo Toscani, Lega e Franco Bonfante, Pd; consiglieri segretari Moreno Teso, Pdl e Raffaele Grazia, Udc) che determina il quantum. La paga base è quella del 2010, antecedente i tagli: 7.607,37 euro lordi. Poi c’è l’indennità di funzione, che viene ridotta e varia a seconda della carica: la più alta è quella di Ruffato e Zaia, 3.072,21 euro lordi; la più bassa quella per i vicecapigruppo, 877,77 euro lordi. Poi c’è la diaria: 2.250 euro più una quota variabile a seconda delle presenze. I tragitti casa-lavoro sono rimborsati a chilometro con tariffa Aci anche se si usa il treno. E il rimborso spese forfettario? Sparito? Lo scorso 22 agosto Ruffato mostra con orgoglio la propria busta paga:«Ecco qua quanto prendo, 6.728 euro netti, altro che i novemila di cui scrivono i giornali». Giusto, ma se si conta anche la detrazione di 1.400 euro per il vitalizio, sarebbero 8.128. Solo che a Ruffato scappa un fuori onda: «6.700, a parte i soldi del gruppo». Gruppo? Appunto: 2.100 euro di rimborso esentasse. E quindi farebbero diecimila e passa.
Ed ecco la “storia del gruppo”. Il 22 marzo l’Ufficio di presidenza, previo via libera della Conferenza dei capigruppo, decide che a partire dal 1. aprile il rimborso forfettario non deve più finire in busta paga, ma va “girato ai gruppi, che a loro volta con bonifico bancario lo girano ai rispettivi consiglieri. Occhio, è tutto in regola, nel senso che c’è una legge che lo prevede e a quella ci si richiama: articolo 5 legge regionale numero 56/1984: “Nei limiti e con le modalità stabilite dall’Ufficio di presidenza i gruppi consiliari possono riconoscere ai consiglieri regionali rimborsi, anche forfettari, delle spese per la partecipazione ad attività di cui all’art. 3, quando le stesse si svolgano in località diverse dal capoluogo regionale o dal comune di residenza del consigliere”.
Può una legge regionale stabilire che i rimborsi forfettari sono esentasse? Finora è stato così, adesso – metti mai – si è deciso per il fuori busta. E sempre la delibera dell’Ufficio di presidenza ha trovato i fondi per i rimborsi da aprile a dicembre: 1.180.000 euro (a regime, su 12 mesi, sarà più di un milione e mezzo di euro) prelevati dal Fondo di riserva per le spese impreviste. Da sommare ai 4,7 milioni o già inclusi? A rigor di logica, andrebbero aggiunti. Ma allora dove sono stati i tagli agli stipendi? Gennaro Marotta, dell’Idv, pronto a battersi per la trasparenza degli atti, assicura: «La mia paga nel settembre 2010 era di 9.100 euro netti, nel settembre 2012 di 8.300 euro. Compresi i 2.100 di rimborso».
La questione degli sprechi e’ critica in tutta Italia, non solo in Veneto. Anzi e’ una delle regioni che ne esce meglio. Come scriveva il Sole 24 Ore, ogni consigliere regionale costa come un top manager, 743 mila euro all’anni. Ogni seggio costa 750mila euro.
Ognuno dei 1.111 consiglieri regionali pesa sul bilancio pubblico come un manager di altissimo lignaggio: 743mila euro all’anno, calcolando solo le spese più “politiche” e senza considerare le ricadute legate al personale amministrativo di supporto. Una cifra imponente, che fa smarrire i risparmi veri o presunti creati finora dagli unici tagli applicati davvero ai “costi della politica”, quelli che hanno dimezzato i consigli dei Comuni piccoli e piccolissimi dove i gettoni di presenza viaggiano intorno al centinaio di euro all’anno. Come ogni media, però, anche questa è figlia di situazioni molto diverse fra loro: l’inchiesta riassunta nella grafica riportata misura le performance dei consigli regionali in dieci indicatori-chiave, dal numero di consiglieri e commissioni alle loro indennità e rimborsi, passando dalle spese per organi istituzionali e consulenze, e mette nel mirino i valori fuori media, ponderati in base alle dimensioni della Regione.
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