Il popolo veneto equiparato a un’etnia di minoranza, con una propria lingua e cultura che va difesa e promossa a livello regionale: è sulla base di questo concetto che il consiglio regionale, a maggioranza Lega Nord e centrodestra, introdurrà ufficialmente il dialetto veneto nel mondo del lavoro e dell’istruzione in regione.
È quello che succederà in Veneto dopo che il consiglio regionale ha approvato il contestato disegno di legge numero 116. Per ottenere un posto di lavoro come funzionario pubblico, per esempio, bisognerà dimostrare di conoscere la lingua e cultura veneta, che verranno anche insegnate a scuola.
Solo una volta ottenuta una sorta di “patente di veneticità“, insomma, si potrà lavorare per le amministrazioni locali in Veneto. Sulla definizione del dialetto veneto come “lingua” storici e linguisti non concordano.
La misura della regione Veneto è controversa anche perché fa da apripista alla ridefinizione del popolo veneto come minoranza nazionale e decreta il bilinguismo nella regione, con tanto di insegnamento del veneto nelle scuole e uso del dialetto negli uffici pubblici e nella toponomastica, compresi i cartelli stradali. Un po’ come già avviene nel Sud Tirol in Trentino Alto Adige.
La regione del nord est vorrebbe insomma che lo Stato italiano provveda ad applicare la Convenzione quadro europea varata dal Consiglio europeo per tutelare le minoranze storiche, come quella dei rom, ratificata anche dall’Italia nel 1997.