In Venezuela la crisi economica non ha risparmiato gravi conseguenze anche nell’accesso a uno dei beni più vitali: l’acqua potabile. La gestione delle risorse idriche è stata affidata ai militari, racconta un reportage su Bloomberg, il cui perimetro d’azione, va ben oltre quello di supervisionare le riserve. Il tutto mentre l’inflazione ha raggiunto per la prima volta nella storia del paese, ricco di risorse petrolifere, il 40.000%.
“Sette grossi punti di accesso idrico nella capitale di 5,5 milioni di persone sono ora gestiti da soldati o dalla polizia, che ha anche preso il controllo totale di tutti i camion per l’acqua pubblici e privati. In via ufficiosa, i soldati dirigono i camionisti e li inviano a indirizzi privilegiati”, scrive Bloomberg. Nonostante la nazione garantisca prezzi bassissimi per l’acqua, la qualità della rete è molto bassa e il personale addetto alle riparazioni è sceso da 400 a 40 unità rispetto agli anni Novanta; anche le riserve d’emergenza che dovrebbero bastare a garantire la fornitura d’acqua in caso di emergenza per la capitale sono pericolosamente semivuote.
“Il settore idrico è stato completamente preso perché il governo crede che i militari possano dare ordine alle cose”, ha detto Norberto Bausson, ex amministratore delegato di Hidrocapital, la principale utility del settore, negli anni ’90, “se oltre a questa incompetenza istituzionale, aggiungi un anno secco, le conseguenze sono enormi”.
Secondo un report della Caritas il 65% delle famiglie venezuelane hanno accesso all’acqua meno d i tre giorni alla settimana; solo il 27% gode della fornitura quotidiana. Per colmare le carenze del sistema pubblico, l’unica alternativa è acquistare acqua presso i tanker privati che la rivendono in taniche, a prezzi assai elevati.