Tensione alle stelle in Venezuela dopo gli eventi che hanno portato il leader dell’Assemblea nazionale Juan Guaidó a giurare da ‘presidente incaricato’ del Venezuela in un gesto che ha messo apertamente in discussione la legittimità di Nicolás Maduro e spaccato la comunità internazionale. Nel Paese dei due Presidenti ora regna l’incertezza e, soprattutto, lo spettro della repressione e di una dolorosa guerra civile. Parlando alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, Maduro ha confermato che non rinuncerà mai al suo incarico, dando dei “pagliacci” agli oppositori del governo parallelo guidato da Guaidò. Il presidente ha quindi ribadito che “i diplomatici americani devono lasciare il Venezuela entro domenica”, passate cioè le 72 ore concesse agli Usa “quando ho deciso di rompere le relazioni diplomatiche”. Ovviamente, ha chiarito, “stiamo ritirando i nostri diplomatici in Usa che torneranno a casa sabato”. Dal canto suo, gli Stati Uniti hanno ordinato ad alcuni loro diplomatici di lasciare il paese per motivi di sicurezza, ma l’ambasciata Usa a Caracas resta aperta. Su questo fronte, il sito Vox scrive che gli Stati Uniti a dispetto di quanto affermato mesi fa da Donald Trump che, aveva considerato “un’opzione militare” per spodestare il presidente venezuelano, non interverranno militarmente nel Paese. Il sito cita a questo proposito un ex alto funzionario militare americano, che ha affermato che non esiste “una buona ragione” perché l’esercito americano intervenga in questo momento. Nelle ultime 48 ore intanto la piazza è stata la vera protagonista del confronto, come dimostrano gli scontri che hanno causato negli ultimi giorni la morte di almeno 26 persone ed il ferimento di quasi 300. In questa prima fase di acuto scontro politico, a far pendere la bilancia a favore di Guaidó è stato il sostegno al massimo livello degli Usa di Donald Trump, emulato da gran parte dei Paesi americani e sostenuti anche da Francia e Gran Bretagna. Una spinta che sarebbe potuta essere fatale per il successore di Hugo Chávez, ma che è stata assorbita dalla netta posizione a favore di Maduro della Forza armata nazionale bolivariana (Fanb), dell’Assemblea nazionale costituente (Anc) e del Tribunale supremo di giustizia (Tsj). Oltre che dai moniti lanciati a Washington da Russia (che ha messo in guardia dal rischio di un “bagno di sangue”), Cina e Turchia. Nel frattempo gli Stati Uniti hanno chiesto ufficialmente una riunione a porte aperte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sabato alle 9 locali, le 15 italiane, sulla crisi.
Moises Naim, ex ministro del Venezuela, ha parlato di una guerra di procura in un paese stremato. Secondo lui “non c’è dubbio che a definire quello che accadrà nei prossimi giorni e la politica del Venezuela sarà il comportamento e le decisioni prese dagli “uomini con le pistole”.