Anche una risalita sostenuta dei prezzi del petrolio non potrebbe salvare il Venezuela dal tracollo finanziario, a scriverlo è un report di Deutsche Bank, per la quale anche un barile di greggio a quota 100 dollari non sarebbe sufficiente. Un prezzo di 200 dollari al barile sarebbe, invece, quello teoricamente necessario a ristabilire il budget venezuelano, scrive la banca tedesca.
Come spesso ricordato, il Venezuela, un tempo noto come “il paradiso socialista dell’America latina”, è diretto verso una spirale inflazionistica a tripla cifra, con un debito estero sempre più difficile da onorare e una bilancia dei pagamenti deteriorata dal calo dei prezzi del petrolio, la commodity fondamentale per le esportazioni del Paese. Nel frattempo il tasso di cambio ufficiale della moneta nazionale è stato rivisto al ribasso a 10 bolivar per un dollaro (dai precedenti 6,3). Tuttavia i tassi di cambio del mercato nero, secondo quanto riporta Bloomberg, superano i mille bolivar per un dollaro.
Il presidente Nicolas Maduro, nella polemica generale, ha disposto in queste ore l’aumento del prezzo della benzina, che, nel bel mezzo della crisi, continuava a essere a livelli bassissimi: l’aumento della benzina è, per quella a 95 ottani, di oltre il 6mila%, mentre quella da 91 ottani sale del 1.300%. Anche con questi rialzi, fare il pieno a un’automobile, scrive Reuters, costa meno di una lattina di bibita gassata.
Motivo per il quale nessun economista si aspetta che gli interventi sul cambio e sul costo della benzina abbiano effetti di rilievo nel ristabilire le finanze in dissesto del Paese. Anche con gli accordi sulla stabilizzazione della produzione del petrolio (concordata con Arabia Saudita e Russia) e con il calo, previsto da Deutsche Bank, della produzione statunitense (grafico in basso) restano poche le possibilità di normalizzazione per l’ex paradiso socialista.