Economia

Via della Seta cinese: l’Italia ha disdetto l’accordo

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Ora è ufficiale, l’Italia è fuori dalla Via della Seta, il principale progetto di sviluppo globale della Cina a livello economico e geopolitico. Dopo quattro anni dalla firma del Memorandum sulla Belt and Road Initiative, tra l’allora premier italiano Giuseppe Conte e il tutt’oggi presidente cinese Xi Jinping, che fece storcere il naso agli Stati Uniti, la premier Giorgia Meloni ha mantenuto il suo impegno e ha consegnato alle autorità di Pechino una nota per comunicare la disdetta dell’accordo con la Cina. Una disdetta che l’Italia ha provato ad evitare cambiando i termini dell’accordo stesso (passando ad una disdetta per assenza di esplicito rinnovo dopo la scadenza del 22 marzo 2024), ma che i cinesi hanno rifiutato dopo alcune settimane di ping pong diplomatico.
La nota dell’esecutivo Meloni contiene, però, anche la promessa di mantenere, anzi rafforzare, l’amicizia strategica con la Cina. Roma ha, infatti, tutto l’interesse a coltivare le relazioni con l’economia del Dragone, la seconda al mondo.

Allo stesso tempo, servirà qualche mese per comprendere se Pechino metterà in atto ritorsioni di natura commerciale nei confronti del sistema produttivo italiano. Uno dei settori più rilevanti in Cina, e quindi che potrebbe risentire maggiormente, è il lusso Made in Italy.

L’uscita formale dal progetto sarebbe avvenuta già all’inizio della settimana, riporta il Corriere.it, senza alcuna pubblicità, come d’intesa tra le parti. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e, a seguire, dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani: incontri in cui è stata confermata l’intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi e in cui sono stati avviati fra gli altri i passi preparatori per la visita del capo dello Stato Sergio Mattarella l’anno prossimo in Cina.

Ricordiamo che la Belt and Road Initiative (BRI) è un ambizioso programma del governo cinese che vuole finanziare con oltre 1.000 miliardi di dollari diversi investimenti infrastrutturali in quasi ogni angolo del pianeta: Africa, Europa, India, Russia, Indonesia. L’iniziativa, fortemente voluta da Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, è stata lanciata nel 2013.

Dal punto di vista concreto la Via della Seta è un insieme di progetti pagati dal governo di Pechino e finalizzati alla realizzazione o al potenziamento di infrastrutture commerciali (strade, porti, ponti, ferrovie, aeroporti) e impianti per la produzione e la distribuzione di energia e per sistemi di comunicazione. Il tutto per facilitare e dare ulteriore impulso a scambi e rapporti commerciali tra le imprese cinesi e il resto del mondo: una sorta di piano globale, nel vero senso della parola, di commerci che, secondo la Banca Mondiale, potrebbe arrivare a veicolare un terzo di tutto il commercio mondiale e coinvolgere il 60% della popolazione del pianeta.

In sintesi, la Belt and Road Initiative vedrebbe snodarsi, dalla Cina, sei grandi corridoi commerciali:

  • quello con il Pakistan (Cpec);
  • quello che passa per l’India, il Bangladesh e il Myanmar (Bcimec);
  • quello che unisce Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan (Cwaec);
  • quello che coinvolge Cambogia, Laos, Malesia, Thailandia, Myanmar e Vietnam (Cicpec);
  • quello che collega Pechino con Russia e Mongolia (Cmrec);
  • quello che garantisce gli sbocchi in Europa (Nelb).

La Via della Seta, prima della disdetta di Meloni, sarebbe dovuta passare anche per il nostro Paese, attraverso il finanziamento di grandi opere stradali e ferroviarie, con il potenziamento dei collegamenti con la Cina via mare e via cielo e con l’iniezione di capitali cinesi in settori chiave come quello dell’energia.
Nel mirino dei cinesi c’erano il porto di Trieste, una cooperazione nel comparto dell’energia tra Terna e la State Grid Corporation of China e non meglio specificate collaborazioni tra aziende pubbliche e private orientali e grandi progetti europei come la TAV.
Dei 20 miliardi di affari prospettati nel 2019, quando Giuseppe Conte e Xi Jinping firmarono a Villa Madama il memorandum, poco o nulla è arrivato, complici i due anni di Covid, la contrarietà di Washington e il cambio del governo in Italia. Lo stesso Xi ha rivisto l’impianto del suo piano, abbandonando i grandi progetti di grandeur in favore di interventi più mirati.