Il tragico evento delle Torri Gemelle di vent’anni fa ci fa ripensare a cosa è successo veramente all’investitore. Un processo di trasformazione che con il Covid è letteralmente esploso
Ogni volta che capita qualcosa – e qui non parliamo di semplici fatti, ma di eventi capaci di sconvolgere il sistema esterno e interno, la realtà e il modo di pensare – c’è il momento del black-out in cui tutto si ferma, la luce si spegne. E poi c’è quello che viene identificato e ripetuto come il cosi detto re-start, la ri-partenza. Proprio in questo settembre stiamo assistendo a inviti a vario titolo a ri-partire, a ri-cominciare. Perché sono passati quasi due anni da quel dicembre 2019 che ha dettato l’inizio di un altro nuovo mondo, innescatosi con l’avvento della pandemia. Ci sono voluti due anni, eppure ancora non siamo completamente ri-partiti. Non siamo ancora in grado di agire alla maniera di sempre, a cui eravamo abituati, prima che tutto mutasse improvvisamente. E ci si ripete: ci vuole, ci vorrà tempo.
E oggi che ci ritroviamo a dover ripensare – sì perché non è solo una commemorazione, è un dovere – a quel lontanissimo 11 settembre in cui tutto cambiò, pur essendo passato davvero tanto tempo, vent’anni, sorprendentemente non possiamo dire di esserne completamente usciti. Neppure da quell’evento.
Ma perché pensiamo che cambiare, ripartire, voglia dire che l’evento che ha causato la crisi, lo stop, il black-out totale di quello che c’era prima, si azzeri prima o poi, cessi di vibrare, finisca di agire e tutto possa finalmente tornare a essere quello che avevamo, quello che eravamo, prima che avvenisse?
Qui c’è forse la più grande miopia che ci appartiene. Almeno sul momento. Quel speriamo che passi, che tutto torni come era prima, al più presto, viene dal nostro essere più facilmente abituati a essere sempre uguali.
Ora entro nel mio ufficio, mi siedo al tavolo della consulenza e guardo il mio cliente. Ero lì con lui l’altro giorno, non era ancora il giorno del tragico anniversario ma se ne parlava, era nell’aria. Gli ho chiesto: lei cosa ricorda? E lui: in realtà non ricordo dove mi trovassi quel giorno, è passato troppo tempo. Ma ho letto vari articoli sulla Borsa e ho visto che a differenza di tutte le Borse mondiali il nostro indice Ftse Mib è l’unico che è rimasto indietro…
Difficile non essere d’accordo con questa visione da investitore, che è la più prevedibile. Perché quel lontanissimo 11 settembre non si riesce quasi a ricordare come evento emotivo se non riguardando le incredibili foto che lo hanno lasciato vivo e indelebile nella memoria. Ma quello che il cliente, l’investitore, non ha lasciato indietro, non ha cancellato, quello che non si è azzerato per nulla è proprio quel giorno.
Lui si sente uguale, sempre identico nel suo modo di pensare, quel suo “da sempre sono abituato a credere a… a investire su… e non faccio mai…”, eppure quel giorno è assolutamente rimasto come fattore incisivo determinante del suo essere investitore. Potremmo chiederci: nel 2001 come erano gli investitori, prima che tutto cambiasse? Avevano già visto una grande crisi, ma non così. Erano passati attraverso la bolla dei titoli tecnologici dell’anno immediatamente precedente. Ma non così grave. E lo stesso, ripetiamo, da quando c’è stato il Covid, questa sì che è stata grave, la più grave. Come se il punto fosse sempre quello di guardare l’evento capitato e il suo azzeramento nel tempo per poi ricordarlo e attendere il successivo. Invece di guardare un processo che non si è mai fermato, un movimento causato da eventi esterni, che tuttavia è stato assolutamente personale, interiore, e alla fine evolutivo.
Perché guardando l’investitore possiamo riconoscere più che in altri profili personali (passatemi questo azzardo!) quanto questi grandi avvenimenti l’abbiano reso sempre più cosciente del suo essere… investitore. E proprio a seguito di quell’11 settembre, per quanto accaduto da quell’evento in poi, non si può in realtà parlare di qualcosa che si sia azzerato, tutt’altro, benchè la Borsa possa far vedere il ristabilirsi e anzi il rimbalzo straordinario delle valutazioni. No. Piuttosto si deve riconoscere che finalmente l’investitore ha realmente investito, ha riconosciuto sempre di più cosa voglia dire investire tracciando una distanza incolmabile da chi invece si è sempre più radicato in una posizione di incapacità se non avversità all’investimento.
Perché il punto è proprio come è diventato l’investitore. Oggi. A vent’anni da quel giorno, che tuttavia è rimasto in lui come fattore di un suo perenne cambiamento mai fermatosi da allora. Quasi nell’investitore si possa vedere il figlio, l’esito di un meccanismo reduce da un ventennio arrivato al suo tragico consolidamento con il Covid 19. Quasi il Covid abbia avuto il potere di dire: ecco la prova del nove che la situazione sia proprio questa. La riconosco. È proprio così.
Lo potremmo quasi filmare, il nostro investitore, sotto questa luce finalmente trasparente (mentre lui di sè riesce a dire solo di ricordare il fatto di quell’11 settembre e gli esiti di Borsa, null’altro).
Protagonista la Fed, che dopo quell’evento per salvare, per azzerare, ha innescato un meccanismo che a sua volta ha portato a credere nel potere dei soldi di produrre soldi… un potere irrefrenabile per tutta la liquidità iniettata sul mercato. E da lì si è andati avanti. Come? Chi è l’investitore oggi? Eccolo. Non può che essere il vero speculatore. Se parliamo di chi vuole veramente investire. Lo ha imparato, lo ha interiorizzato (ecco perché, per favore, non parliamo di eventi che finiscono e poi si riparte come se l’evento terminasse) in questi vent’anni. Non parlo delle ferite degli storni, da cui subito si è ripreso. No. Lo ha proprio imparato dalla dinamica del denaro, di quell’enorme quantità di denaro immessa sul mercato.
Denaro che è arrivato a essere quasi facile, grazie al meccanismo delle banche centrali che lo hanno reso facile. Disponibile. E da qui l’investitore lo ha preso a piene mani guardandolo sempre più, al limite, come un gioco possibile.
E così lo ha preso nello stesso modo a prestito per comprare casa. E in questo secondo caso, nella veste dell’investitore debitore, di chi ha investito sul suo futuro, approfittandosi di un denaro senza tassi, facile. E purtroppo da qui si è arrivati a non tener troppo i conti, al punto da generare la bolla del debito, prima nella veste dei mutui subprime e più avanti in quella del debito degli Stati. E intanto, dietro, il meccanismo delle banche centrali è continuato. E ancora, l’investitore della Borsa e l’investitore debitore ne prendono a piene mani…
Si può dire forse che questo meccanismo del denaro disponibile sia terminato, o piuttosto l’esito del tragico 11 settembre di vent’anni fa si è ulteriormente consolidato proprio in questi due anni di pandemia? Cosa sceneggia (purtroppo non è un film) ora? Un investitore che tanto denaro ha visto e che ora arriva a vederlo anche moltiplicato virtualmente nel fenomeno delle criptovalute. Altra veste di denaro disponibile, capace di crearne altro a velocità supersonica. Ed egualmente di distruggerlo.
Eccoci al tavolo della consulenza con il dovere di guardare il nostro cliente senza appiattire nulla, pensando a quello che realmente è accaduto in lui e che potrebbe portarlo a fare le cosiddette scelte azzardate. Colpa sua? No. Eventi traumatici che diventano abiti mentali in forza di dinamiche che si ripetono. Ecco le motivazioni più profonde. E da consulente sento sempre più il dovere di ricordarmelo.
Che l’investitore tout court è sempre più lo speculatore, che non può che pretendere il rendimento, sempre di più, perché questa pretesa è un esito di vent’anni di denaro che anche istantaneamente ne produce altro e che per questo, proprio per questo viziato modo di pensare, non riesce ad accettare di aspettare per avere il rendimento.
Quasi parole vintage per lui, che non vuole o comunque fa fatica ad ascoltare. E, di contro, chi rimane sempre più isolato o ai margini di questa visione, è quello che anticamente (passatemela per il troppo tempo passato) si usava identificare come investitore, ancorato all’attesa, al tempo per vedere il risultato o ancora di più l’obbligazionista, che credeva che il debito potesse produrre soldi quando invece ha dovuto iniziare a sospettare che questo potesse essere vero senza rischiare tanto, tantissimo, alla maniera dell’azionista. Entrambe le anime, in realtà, frutto di traumi diversi nella manifestazione ma identiche nella cura e nella posologia. Denaro, ovvio. Denaro facile. Denaro diventato anche, ultimamente… virtuale.
Alla prossima!
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