Certificati, strumenti finanziari con un vantaggio fiscale

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A cura di Gian Luca Cardarelli, consulente finanziario di Bologna

Gli investitori hanno dato prova di resilienza di fronte alla recente epidemia di coronavirus e alla correzione del mercato energetico ma il ritorno della volatilitĂ  dovuto alla diffusione del virus al di fuori dei confini del gigante asiatico spinge i risparmiatori alla ricerca di soluzioni di investimento che garantiscano protezione e un giusto equilibrio tra rischio e rendimento.

La forte correlazione tra le varie aree geografiche di investimento sta portando gli operatori a cercare diversificazione tra settori differenti, tra stili di gestione e tra le possibili opzioni di investimento si ricorre sempre più all’utilizzo di strumenti finanziari derivati, quali i certificati di investimento.

Cosa sono i certificati di investimento?

L’acquisto di un certificato corrisponde all’investimento in opzioni finanziarie; si tratta di strumenti derivati cartolarizzati emessi dalle banche il cui valore dipende dall’andamento di una o più attività finanziarie.

Piuttosto che consentirne l’investimento diretto seguono un sottostante o un basket di riferimento (azioni italiane, europee, statunitensi e asiatiche; numerosi indici; valute; materie prime come petrolio e gas naturale; metalli preziosi; prodotti agricoli e i relativi futures, ecc) al fine di affrontare diversi scenari di riferimento.

Possono essere acquistati per aprire posizioni long o short permettendo quindi la partecipazione al rialzo/ribasso del sottostante e, in taluni casi, proteggono (ma non garantiscono) il portafoglio in caso di andamento opposto fino ad un certo livello prefissato.

Si distinguono in certificati a capitale protetto (totale o parziale), a capitale condizionatamente protetto e a capitale non protetto fino ad arrivare ai certificati a leva finanziaria (fissa o variabile).

Secondo i dati Acepi (Associazione Certificati e Prodotti di Investimento) il mondo dei certificates è cresciuto di oltre il 54% rispetto all’anno precedente, accompagnato da un aumento dei volumi sul mercato primario pari a 17 miliardi di euro. E l’inizio del 2020 non è stato da meno.

Anche l’ultimo report trimestrale di Assoreti conferma un aumento pari al 10% della presenza dei certificates nei portafogli dei clienti delle reti di consulenza finanziaria, considerandola come la categoria di prodotto che ha registrato il maggiore incremento nello scorso anno.

 

Quali sono le ragioni di tale successo?

Rispetto all’esordio sul mercato italiano alla fine degli anni 90 i certificates hanno ridotto la loro complessità diventando più flessibili e utili sotto il profilo della diversificazione di portafoglio. Grazie alla loro flessibilità si possono implementare molteplici strategie: dalla protezione condizionata del capitale, al rendimento anche in caso di ribasso dei sottostanti con i “bonus certificate”, fino all’ottenimento di premi periodici con i“cash collect”.

Ci sono certificati infatti che permettono di incassare premi periodici, al verificarsi di determinati eventi, un funzionamento che ricorda quello delle obbligazioni. Sia ben chiaro che esiste una differenza sostanziale nel livello di rischio tra una classica obbligazione e un certificato che investe su un’azione di riferimento.

Constatiamo quindi che questi strumenti derivati – in quanto derivano il loro valore dall’andamento di una o più attività sottostanti – rientrano in misura crescente nelle strategie di investimento sia dei singoli investitori che dei consulenti finanziari.

 

Ma quali sono i limiti?

E’ opportuno ricordare che di fronte ad una crescita progressiva in termini di emissioni e volumi di scambio non è stata corrisposta proporzionalmente una crescita di conoscenza degli stessi e di educazione finanziaria.

Le competenze trasversali richieste devono tener conto di diversi parametri: dal parametro della volatilità e dell’impatto che questa puo’ avere sul risultato finale, al rischio emittente (solvibilità di colui che emette lo strumento e lo quota sul mercato Sedex o TLX).

Dall’incognita legata all’andamento del sottostante e al livello dei volumi scambiati (che influiscono sulla loro liquidabilità), sebbene è richiesto la presenza di un market maker in continuo al fine di garantire la liquidità dello strumento, allo spread applicato in fase di negoziazione che si aggira mediamente tra lo 0,5% e 1% per i Certificate di Investimento.

 

Consideriamo, inoltre, che l’arco temporale dell’investimento è legato alla data di scadenza dei certificates e che un’eventuale ri-allocazione delle risorse prima del termine è condizionata dal prezzo di negoziazione del titolo che segue in maniera imperfetta la variazione del sottostante, avendo appunto i certificate l’obiettivo di offrire un payoff asimmetrico rispetto all’andamento del sottostante.

 

Non possono quindi essere acquistati in maniera superficiale ma vanno analizzati, confrontati tra loro, scegliere per quale tipo di investitore sono adatti, capirne i costi impliciti ed espliciti e soprattutto essere in grado di saper gestire molto attentamente e continuamente le posizioni aperte per non incorrere in perdite importanti sul capitale investito.

 

E’ bene ricordare che a differenza degli strumenti di gestione collettiva del risparmio (cosiddetti OICR) i certificates si limitano a seguire l’andamento dei sottostanti, non prevedendo alcuna attività professionale di gestione attiva sugli stessi.

Risulta invece molto utile il loro utilizzo, nelle opportune dosi e modalità, per coprire una posizione aperta in portafoglio in modo da ridurre parzialmente il rischio: parliamo della categoria dei “Reverse” utilizzati in maniera più speculativa in quanto pensata apposta per beneficiare dei ribassi del sottostante.

Vale la pena ricordare che per ridurre il rischio complessivo del loro utilizzo sarebbe sempre meglio utilizzare le barriere DISCRETE/EUROPEE che al contrario delle rilevazioni CONTINUE/AMERICANE condizionano il risultato finale al valore puntuale a scadenza e non a quello intraday (raggiunto durante la vita finanziaria dello strumento).

 

Dal punto di vista fiscale godono di un grosso vantaggio

Le plusvalenze realizzate con i certificates sono soggette a un’aliquota fiscale sui capital gain del 26% (analogamente al rendimento di altri strumenti finanziari tra cui le azioni). Tuttavia, essendo considerate redditi diversi, possono essere compensate con eventuali minusvalenze accumulate negli anni precedenti (a differenza degli Etf che non godono di questo regime) in quanto il flusso monetario che offrono, anche cedolare, è sempre soggetto ad aleatorietà.

Uniche eccezioni sono poste qualora il certificato preveda lo stacco di cedole incondizionate (e fare bene attenzione…nel caso di alcuni intermediari che hanno scelto di adottare un criterio di tassazione dei flussi periodici rinviato alla vendita/scadenza).

Una strategia fiscale spesso utilizzata per la sua efficacia ricade nell’acquisto di quei certificati che pagano una maxi cedola, un premio ad alto rendimento (da qui l’appellativo “maxi”), già alla fine del primo mese di vita dello strumento e spesso verso la parte finale dell’anno.

Questa tipologia è utile soprattutto a quegli investitori che hanno la necessità entro la fine dell’anno fiscale di recuperare le minusvalenze presenti nel proprio zainetto fiscale incassando un alto provento in tempo utile per non veder evaporare le minusvalenze maturate negli anni pregressi.

Parliamo dei “Maxi Cash Collect” una tipologia di certificati (che tipicamente ha come sottostante un paniere o basket di azioni) appartenenti alla categoria ACEPI dei prodotti a capitale condizionatamente protetti.

I Certificate su un basket “worst of” di azioni prevedeno che la verifica della condizione per ricevere il premio venga valutata sul peggiore dei titoli sottostanti che compongono il basket.

Al termine del periodo di vita del certificato, si potranno verificare due scenari:

  • Se tutti i sottostanti del paniere avranno un prezzo maggiore o uguale al livello barriera, il certificato rimborserĂ  il capitale investito piĂą il premio, oltre ad eventuali premi non pagati nelle date di valutazione intermedie precedenti (se dotato di effetto memoria).
  • Nell’eventualitĂ  in cui almeno una delle azioni del paniere dovesse passare di mano al di sotto del livello barriera a scadenza, il Certificate pagherĂ  una cifra commisurata alla performance negativa del peggior sottostante del paniere. In questo caso, l’investitore subirĂ  una perdita sul capitale investito.

La minusvalenza a scadenza o nel corso della vita dello strumento potrĂ  comunque essere accantonata o recuperata nei 4 anni successivi.

Scenario diverso  nel caso in cui l’investitore non voglia partecipare alla vita residua del titolo: potrebbe venderlo successivamente allo stacco della maxi cedola iniziale e beneficiare della traslazione delle minusvalenze pregresse attraverso la contabilizzazione della perdita subita.

Da tenere presente, infine, che se un Certificato ha come sottostante un’azione italiana “rilevante” (con una capitalizzazione maggiore dei 500 milioni di euro) indici azionari o basket di azioni, si applica la TobinTax (istituita dalla Legge di Stabilità del 2013).

Diversificazione, trattamento fiscale e protezione sono quindi gli elementi che rendono questo strumento utile nella frammentazione del rischio del portafoglio dei clienti, nelle giuste dosi e sempre nel rispetto dell’asset allocation complessiva.

 

Questo articolo fa parte di una rubrica di Wall Street Italia dedicata ai consulenti finanziari che vogliono raccontare le loro esperienze e iniziative professionali. Se siete interessati a pubblicare una vostra storia scriveteci a: social.brown@triboo.it


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