Consulenti finanziari: diversificare il portafoglio con la Cina

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Articolo di Alberto Marracino, consulente finanziario di Vasto (Abruzzo)

Nel 2020 la Cina ha dimostrato nuovamente la sua forza economica e politica non solo nella gestione della pandemia ma anche nel veloce recupero della sua economia con una crescita finale del PIL di oltre 2% a fronte di cali in USA (-3,5%), Europa (-6,5%) e molte economie nel mondo. Per questo il Paese si candida a ricoprire un ruolo sempre maggiore nel panorama economico e politico mondiale, con la possibilità di raggiungere le dimensioni dell’economia USA in meno di 10 anni.

Come ricorda Lucio Caracciolo, fondatore della rivista Limes, la Cina è intenzionata a sfidare l’impero marittimo e commerciale americano, controllato attraverso le varie flotte statunitensi dislocate nelle varie regioni del globo a presidio dei colli di bottiglia delle principali rotte commerciali, attraverso un allargamento della sfera di influenza e collaborazione con i paesi geograficamente più vicini e rinforzando e innovando le millenarie “vie della seta” del commercio terrestre e marittimo tramite l’iniziativa chiamata Silk and Belt Road.
Quest’ultima, che coinvolge oltre 70 paesi con 900 progetti in nuove infrastrutture, mira a rafforzare la rotta terrestre (Silk Road Economic Belt) via Russia, Mongolia, Iran fino all’Europa e quella marittima (Maritime Silk Road) che interessa il Mare Cinese Meridionale, Oceano Indiano, l’Africa e i nodi chiave dello stretto di Gibuti e del Canale di Suez.

 

 

Cina, nuovi accordi commerciali con i vicini paesi asiatici

Allo stesso tempo, attraverso la creazione nel novembre 2020 del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), la Cina ha promosso il maggior accordo economico-commerciale di libero scambio al mondo coinvolgendo i paesi dell’ASEAN (Singapore, Indonesia, Malesia, Thailandia ecc.) insieme a Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda, interessando oltre 2 miliardi di persone, il 30% del PIL mondiale e il 27% del commercio a livello globale.

Il RCEP, nato dopo anni di negoziati, sfida apertamente gli Stati Uniti sul piano economico e politico creando una frattura all’interno del Quad, ovvero un’alleanza indo-pacifica in chiave anticinese, una specie di Nato asiatica, tra USA, Australia, Giappone e India, quest’ultima che, dopo anni di negoziati, ha deciso di non aderire all’accordo sulla scia di crescenti tensioni con la Cina, incluso il timore, eliminando i dazi commerciali, di essere invasa da prodotti a basso costo a danno dei produttori locali.

 

 

In termini di programmazione politica ed economica, la Cina ha da poco presentato il suo 14esimo piano quinquennale (2021-2026) che per la prima volta non ha definito un target di crescita annua del PIL (la media del piano precedente era stata fissata a 6,5% annuo), proprio a causa dei fattori di incertezza esterni dovuti alla pandemia e ha inserito una sezione speciale relativa allo sviluppo della sicurezza nazionale in termini di cibo, energia e finanza. Alcuni punti cruciali includono un forte investimento in ricerca e sviluppo (oltre il 7% di tasso di crescita annuale), promozione della green economy, aumento della popolazione nella città (65% target), aumento dell’aspettativa di vita di un anno.

In sintesi, l’ambizione è quella di focalizzarsi sullo sviluppo del mercato interno, aumentando il benessere sociale dei cittadini attraverso investimenti nell’ambiente e nelle energie rinnovabili e facendo leva sulle tecnologie sempre più all’avanguardia in ogni campo. Il piano prevede anche una programmazione a 15 anni con l’obiettivo di raggiungere, entro il 2035, livelli di PIL pro-capite simili a quelli dei paesi moderatamente sviluppati e allo stesso tempo rinforzando le competenze in ambito tecnologico. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) la Cina dovrebbe raggiungere il 7,9% di crescita del PIL nel 2021 per poi stabilizzarsi intorno al 5,5% annuo fino al 2025 con tassi di crescita dei consumi superiori a quelli dell’economia, 11,3% nel 2021 e oltre il 6% negli anni successivi, a testimonianza della volontà delle autorità cinesi di voler traghettare il modello di sviluppo economico verso un’economia maggiormente sostenuta da consumi interni e dal settore dei servizi e meno da esportazioni e investimenti in capitale.

Morgan Stanley stima che il mercato dei consumi in Cina sia destinato a raddoppiare nei prossimi 10 anni a circa 13 trilioni di USD, raggiungendo la dimensione del mercato USA entro il 2030, con un tasso di crescita tra i più alti al mondo. I principali driver sono legati a reddito disponibile pro-capite (dai 6.000 USD attuali ai 12.000 nel 2030), cambiamenti demografici (incremento della popolazione più anziana e con maggior poter di acquisto), tecnologia (mercato dello shopping on line di 1,5 trilioni di USD, oltre due volte quello americano, e il più alto tasso al mondo di penetrazione dei pagamenti via cellulare, 86% contro una media globale del 34%), politiche mirate (il citato piano quinquennale di sviluppo della domanda interna).

 

Da queste considerazioni di carattere geopolitico e macroeconomico scaturiscono delle interessanti considerazioni a livello d’investimento in Cina, in particolare in alcuni settori. È assai probabile che i consumatori cinesi indirizzeranno le loro crescenti disponibilità economiche verso una qualità maggiore nell’alimentazione, nei servizi internet e social network, nell’assistenza sanitaria e educazione per i propri figli. Qualche esempio: l’educazione è una grossa priorità per le famiglie cinesi e questo, insieme alla competizione per le migliori università, spinge a maggiori investimenti e sviluppo del mercato dell’educazione privata.

Le conseguenze si riflettono poi sullo sviluppo economico generale: la Cina fornisce ogni anno oltre 8 volte più laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica degli USA e registra oltre il 31% di tutti i brevetti a livello globale, favorendo ulteriormente la sua leadership nei settori innovativi quali il 5G o l’intelligenza artificiale. Sul lato sanitario, fattori quali l’invecchiamento della popolazione unita a una spesa sanitaria (5,2% del PIL) ancora relativamente modesta se comparata a Europa e Giappone (10%) o USA (17%) spingeranno per una crescita importante dei settori del medical and healthcare equipment e dei farmaci.

A livello generale del mercato azionario la Cina non è ancora sufficientemente rappresentata negli indici internazionali: con un quinto circa del PIL e della popolazione mondiale ha un peso di meno del 5% all’interno del MSCI All Country World Index. Questo sottopeso sarà probabilmente ridotto negli anni a venire insieme a una sempre maggiore presenza di società private all’interno dell’indice azionario nazionale (MSCI China) passate da un 5% del 2005 a oltre il 50% nel 2020, a testimonianza del vivace spirito imprenditoriale privato sostenuto dalle politiche nazionali.

È indubbio quindi che l’economia della Cina, sulla spinta di una programmazione economica di lungo termine, un allargamento della sua sfera d’influenza commerciale e politica, una leadership ormai acquisita in molte settori tecnologicamente avanzati, sembra destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni a ritmi impensabili per le economie occidentali, soprattutto in specifici settori legati ai consumi interni, alla green economy e a settori strategici quali l’aerospaziale, l’IT, i semiconduttori, la robotica. Relativamente meno attraenti, soprattutto nel breve termine, potrebbero essere alcune aziende legate a internet ed e-commerce sia per le valutazioni elevate raggiunte sia per possibili problematiche di antitrust che potrebbero colpirle (simili tematiche sono presenti anche in occidente relativamente alle posizioni monopolistiche raggiunte da Facebook, Google ecc.).

Conclusioni: per gli investitori la Cina, insieme ai paesi del sud-est asiatico, rappresenta un’interessante opportunità d’investimento. Tuttavia, a fronte di potenziali rischi legati al paese, insiti in qualsiasi investimento e di cui tratterò in un prossimo articolo, l’approccio più corretto è quello di investire in maniera graduale, attraverso piani di accumulo o fondi target, ovvero fondi con un decumulo programmato automatico che riducono il rischio del market timing.

 

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