di Massimiliano Melzi, regional manager di Fideuram
Ho sempre creduto che la vita familiare nel quotidiano sia determinante, ad esempio per la nostra vita lavorativa.
Quando ci troviamo di fronte i nostri figli o i nostri partner dobbiamo spesso affrontare situazioni complesse, condividere pensieri e trovare soluzioni. Dobbiamo a volte esercitare le nostre doti di leadership, specie nell’attività educativa.
Un esempio che mi riguarda: pochi giorni fa Giulia, mia figlia, mi ha chiesto un consiglio sul prosieguo del suo percorso di studi: restare a Milano o valutare un cambiamento, magari un’opportunità all’estero?
In quel momento ero inevitabilmente in una situazione simile a quelle che si presentano nel mondo del lavoro: quando un collega chiede un suggerimento, una strada, un percorso.
Come fare dunque a consigliare, supportare al meglio le persone che ci stanno vicino?
Ascoltare, ma per davvero
Davanti a noi abbiamo persone, non risultati. Emozioni, non obiettivi.
Per fare dunque il bene di chi ci sta attorno, dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti di chi abbiamo di fronte.
Uno degli elementi più importanti da considerare, sia come genitore sia come marito o manager, è la credibilità, che si ottiene con l’esempio, con le azioni e anche con l’ascolto.
Mia figlia negli anni ha avuto momenti turbolenti, come molti adolescenti, e quando provavo a mettermi nei suoi panni non sempre sono riuscito nell’intento. Quindi ho trovato utile chiederle, esattamente come succede nel mondo del lavoro, di spiegarmi cosa voleva.
Attraverso l’ascolto delle parole di mia figlia mi sono messo in discussione: ho ripercorso la mia giovinezza, gli errori che ho commesso in passato.
Ho detto a Giulia che anche io alla sua età ero una persona fragile, con dei limiti, e che anche io ho avuto bisogno di una guida.
Supportare per creare valore
Ho vissuto emozioni simili nel mondo professionale: oggi ricopro un ruolo manageriale in Fideuram. Ruolo che qualcuno confonde con quello del “capo”: ma il capo non è sempre un buon manager. Il capo deve essere il supporto per creare valore. Questo è ancora più vero in un mondo, quello della consulenza, in cui la maggior parte dei consulenti sono liberi professionisti, quindi “capi“ di se stessi.
Un lavoro difficile
Quando ho iniziato il mio percorso professionale come consulente, uscendo dal mondo bancario, non immaginavo che il lavoro del consulente finanziario potesse essere così difficile: mi sono trovato di fronte un mondo in cui clienti che consideravo amici non mi hanno seguito. Al contrario, perfetti sconosciuti hanno condiviso il mio percorso.
Mi sono trovato inoltre a dover gestire il panico dei clienti per l’andamento dei mercati, e ho visto colleghi giovani e meno giovani avere le stesse difficoltà.
Ho lavorato con persone che non riuscivano ad approcciarsi a clienti, spesso imprenditori importanti, perché concentrati solo ed esclusivamente sul risultato.
Cosa ho fatto per aiutare i miei colleghi?
Anzitutto ho provato a mettermi nei panni del consulente, facendomi raccontare cosa aveva fatto e le difficoltà che aveva incontrato. Mi sono posto nella fase di ascolto, non ho giudicato, esattamente come in famiglia, e questo mi ha permesso di entrare in empatia con il collega e capire cosa migliorare.
La cosa più importante spesso, nel nostro lavoro, è capire come preparare una potenziale visita ma soprattutto come preparare un approccio con l’imprenditore. Abbiamo dunque trovato la chiave di lettura per fare una telefonata, poi siamo andati dal cliente, ma non ho voluto prevaricare: l’operazione è stata effettuata dal consulente.
Questo vale anche per i consigli dati a mia figlia: lei mi chiede una mano, ma io non devo dare soluzioni. Devo farla arrivare a una soluzione, perché poi sarà il suo percorso e la sua formazione.
Ho fatto un’analisi su ciò che aveva dentro, per capire davvero il suo obiettivo. Non ho cercato quindi di darle la soluzione, ma l’ho aiutata ad acquisire maggiore fiducia in lei e nelle sue potenzialità, in modo da affrontare la situazione, la sua scelta, con la giusta forza interiore. Il mio obiettivo non è fare in modo che i miei figli, e i miei colleghi, abbiano fiducia in me, ma fare in modo che abbiano fiducia in sè stessi.
Sostenere la crescita professionale
Nel momento in cui si convive con compagna e figli ci sono molti stati d’animo e aspetti che possono cambiare la giornata. Al termine di una giornata di lavoro mi basta ricevere una telefonata di mia figlia che chiede supporto per attivare in me una serie di emozioni e reazioni. Non posso rilassarmi, ma devo “dismettere” i panni di manager della mia società e vestire quelli di “manager” di casa.
Così come quando alcuni giorni fa ho appreso di un collega in ospedale con un grave problema di salute: in quel momento bisognava affrontare la difficile situazione personale e – allo stesso tempo – quella relativa alla gestione del portafoglio.
I colleghi vanno supportati anzitutto dal punto di vista umano. Famiglia e lavoro non sono due aspetti separati. Quando si ricopre il ruolo di padre o di manager non possiamo mai smettere di essere l’esempio. Bisogna essere padri (o manager) a tempo pieno.
Che ne pensi? Come vivi il tuo lavoro e la tua professione? Se vuoi darmi la tua opinione puoi scrivermi qui: mmelzi@fideuram.it