Più volte e in diverse circostante è stato affrontato la questione legata alla figura professionale dei consulenti finanziari (ex promotori) che se pur disciplinati da una rigida normativa regolamentare nello svolgimento ordinario delle sue attività professionali, sul versante delle sue tutele contrattuali ancora oggi non si trova una soluzione che sia in grado di affrontare in modo organico il problema; ciò anche al fine di riconoscerne il ruolo sociale svolto nell’interesse dei clienti investitori.
Le novità normative
L’occasione era già stata offerta qualche anno fa con il DDL sulla riforma del lavoro che aveva numerosi spunti di interesse generale per poter riconoscere anche questa qualifica professionale, unitamente ad altri collaboratori – quali gli agenti in attività finanziaria e collaboratori assicurativi – per un razionale inquadramento secondo gli schemi classici previsti dalla legge 30/2003 (c.d Legge Biagi). Nel contesto delle attività ed interessi portati avanti dalla nostra organizzazione Federpromm, è sempre stato affrontato l’aspetto dei collaboratori degli intermediari finanziari, creditizi e/o assicurativi, oggi sempre più numerosi, che – pur avendo obblighi di esclusiva nelle loro condizioni di lavoro – sono inquadrati contrattualmente con rapporti di natura agenziali.
Le tipologie di contratti
Nel mondo del lavoro questi profili sono invero frequentissimi e talvolta dominanti nei contratti più recenti. Ne sono un esempio nel tempo, i co.co.co, i co.co.pro e le partite IVA. Il caso specifico dei consulenti finanziari è peraltro ulteriormente diverso. In primo luogo, il perimetro operativo risale al 1985 quando pressoché contemporaneamente entrarono in vigore sia la Legge 3/5/1985, n. 204 per la riforma degli agenti di commercio che la delibera Consob 1739 del 10 luglio dello stesso anno, la quale regolamentò il settore delle società di distribuzione dei servizi finanziari e successivamente con l’entrata della legge del 1991 con l’istituzione delle SIM (Società di Intermediazione Finanziaria). Le due norme abbinate insieme determinarono – in modo obbligatorio – il ruolo agenziale della figura degli ex promotori finanziari (oggi CF) e la scelta delle società di imporre il regime del “monomandato”, nel timore – del resto plausibile – che gli stessi promotori potessero utilizzare il brand migliore per dialogare con il cliente sui prodotti e servizi di minor qualità, dei quali avessero ulteriore mandato distributivo. La normativa del 1991 confermò il perimetro contrattuale di tale figura professionale (valida ancora oggi) nelle posizioni degli agenti, dei mandatari e dei dipendenti. Questi sono per natura legati al datore di lavoro, mentre i primi sono vincolati nella loro azione dai limiti del mandato.
L’importanza dell’autonomia
La norma sugli agenti di commercio invece determina condizioni di autonomia organizzativa e gestionale che, nella realtà, sono andate sempre più riducendosi sia nel settore delle SIM che delle banche, in ragione dei vincoli di vigilanza (Consob, Isvap e Banca d’Italia), dei modelli organizzativi ex-231/01 e delle esigenze di internal audit e compliance, soprattutto delle imprese inserite in gruppi bancari o assicurativi. Emerge statisticamente infatti, come la figura più tradizionale del consulente sia declinante, proprio perché è sempre più complesso mantenere l’autonomia indicata dal modello giuridico di base della 204/85.
Il limite tra lavoro autonomo e subordinato
Appare allora corretto delineare l’equidistanza di ruolo tra lavoro autonomo e subordinato. Molti consulenti – se non la stragrande maggioranza – sono inquadrati come agenti, anche se questa tendenza si sta rafforzando anche con il lavoro ibrido nelle maggiori banche italiane, ma non si comportano come tali. E’ anche noto, nonostante le forti pressioni avanzate alle controparti, che nessuna organizzazione rappresentativa ha mai siglato un contratto collettivo del comparto agenziale per queste figure. Possiamo quindi convenire, come è convinzione ormai diffusa, che tutti gli operatori del segmento, obbligati per legge al “monomandato” inquadrati come agenti, sono “economicamente dipendenti” dall’unico soggetto per cui operano.
La crisi demografica del settore
Nel settore è palesemente manifesta la condizione di crisi di vocazioni, anche per i giovani che vogliono intraprendere questa professione ma ciò è dovuto anche alla logica strettamente binomiale del rapporto contrattuale nel mondo finanziario: dipendente o consulente. Il contesto merita sicuramente soluzioni multivariate e ben ponderate, considerando soprattutto la rischiosità della loro posizione, tra impossibilità di diversificare l’attività, carenza di tutele e sbilanciamento pericoloso delle regole contrattuali del lavoro. Una proposta provocatoria e meritevole di attenzione ed approfondimento è la seguente: consulenti finanziari, agenti in attività finanziaria, mediatori creditizi, agenti e sub assicurativi, broker e agenti immobiliari e soggetti complementari costituiscono un universo di operatori professionali che supera le 350.000 unità: un numero non dissimile e forse superiore oggi a quello dei dipendenti bancari (molti dei quali coincidono con taluni di questi per le attività svolte anche se non ben definite).
La possibilità della contrattazione colletiva
E’ ipotizzabile allora valutare l’ipotesi di una contrattazione collettiva che raggruppi tutte queste figure dell’intermediazione finanziaria, creditizia ed assicurativa, soprattutto per la rispondenza dei profili normativi comuni? Ferma restando la difficoltà di aggregare soggetti diversi e la lunghezza dell’orizzonte nel quale conseguire risultati, i consulenti finanziari hanno consistenza sufficiente per proporsi leader di questo percorso. Anche per la forte presenza in Enasarco (Cassa di previdenza obbligatoria degli agenti) per i contributi versati Si propone in ultima analisi una considerazione dal punto di vista delle banche e delle associazioni datoriali, proprio in ragione della crescente esigenza di azioni commerciale fuori sede e quindi con obbligo di avvalersi di queste figure professionali di considerare il tema nell’interesse di garantire maggiori tutele e maggior trasparenza del mercato. Una scelta non solo legislativa in merito sarebbe quanto mai opportuna proprio per consentire la ricerca dei necessari accordi collettivi di settore come occasione irripetibile.
Questo articolo fa parte di una rubrica di Wall Street Italia dedicata ai consulenti finanziari che vogliono raccontare le loro esperienze e iniziative professionali. Se siete interessati a pubblicare una vostra storia scriveteci a: social.brown@triboo.it
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