di Mariano Rocchi, consulente patrimoniale
Facendo una fotografia degli investimenti degli italiani, troviamo che la maggior parte dei nostri connazionali detiene almeno il 50% del patrimonio, ma a volte anche di più, in asset immobiliari.
Il che ha avuto senso fino agli anni Duemila, quando il mattone dava la ragionevole certezza di un apprezzamento dell’investimento. Ora non è più così, anzitutto perché sono in vista riforme che porteranno a un aumento dei costi di gestione degli immobili, come quella del catasto. Negli accordi presi dall’Italia rispetto al Recovery Plan c’è anche la richiesta da parte delle autorità europee di aggiornare i valori catastali degli immobili, sui quali si calcolano le relative imposte, avvicinandoli a quelli commerciali. Per i proprietari sarà un salasso.
COSTI CERTI E COSTI IMPREVEDIBILI
Le maggiori imposte sono un costo certo, ma l’investimento immobiliare presenta anche costi meno prevedibili. Ad esempio, in caso di immobili a reddito va tenuta in conto l’eventualità di dover effettuare interventi di manutenzione straordinaria, oltre alla necessità di trovare inquilini che mantengano la proprietà in condizioni decenti e soprattutto che paghino regolarmente il canone. Durante la pandemia il cambiamento di abitudini ha fatto sì che chi aveva investito in locali non residenziali, a uso commerciale o per uffici, si sia trovato in seria difficoltà, a causa ad esempio dell’avanzata dello smartworking. Ci troviamo quindi di fronte a investimenti il cui valore è sceso e che in alcuni casi non generano più certezza di reddito, a fronte di costi aumentati o destinati ad aumentare.
INVESTIRE NEL MATTONE, MA NEL MODO CORRETTO
Se consideriamo la composizione del patrimonio immobiliare dei nostri clienti, molto spesso si tratta di immobili residenziali che non si riescono a vendere e non generano nemmeno reddito da affitti, ma nel contempo costano in tasse. L’immobiliare in sé non è un investimento da rifiutare tout court, ma va affrontato nel modo corretto: non si può più pensare di destinare il 70% del patrimonio al mattone.
L’EFFETTO INFLAZIONE
C’è poi un altro aspetto da cui non si può prescindere ed è l’inflazione. Negli ultimi mesi il livello generale dei prezzi, trainato dalle materie prime, è aumentato arrivando a superare il 4%: questo significa che il valore del patrimonio detenuto in liquidità viene eroso ogni anno di questa percentuale. Il denaro tenuto sul conto corrente perde potere d’acquisto e quindi ci si impoverisce.
L’INVESTIMENTO FINANZIARIO È A LUNGO TERMINE
Tutto questo porta a concludere che il patrimonio della clientela non può rimanere liquido, ma bisogna utilizzarlo per fare degli investimenti. Di che genere? Va bene anche puntare sul mattone, ma a patto che generi reddito.
Ci sono poi gli investimenti finanziari, che si considerano tali solo se hanno un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, da cinque anni a salire; in caso contrario si parla di ‘parcheggio’. Fino al 2010 si poteva anche puntare su titoli sicuri, risk free, come i Bund tedeschi che riuscivano comunque a garantire un po’ di redditività nel breve termine.
Oggi anche chi investe su un Btp italiano, che è già più rischioso dei titoli sovrani tedeschi, per avere un rendimento dello 0,20% -0,30%, cioè minimo, deve puntare su scadenze di almeno 6-7 anni.
AZIONI SÍ, MA EVITANDO IL FAI-DA-TE
Chi fa investimenti in questo momento deve quindi considerare una durata di almeno cinque anni. Si può ottenere redditività puntando sui bond emessi da società private dai solidi fondamentali, ma certamente non si può prescindere dall’equity, cioè dall’investimento in azioni di società che hanno buone probabilità di sviluppo.
Non consigliamo però il fai-da-te, cioè scegliere le singole aziende di cui comprare i titoli: meglio ricorrere al supporto di un intermediario finanziario – che sia un consulente o un bancario – e puntare sui prodotti di risparmio gestito. Il cliente affida la delega al gestore del fondo, che, con il supporto di analisti e consulenti specializzati, individua a livello globale i temi, i settori e le società che promettono le migliori performance nei prossimi cinque, dieci o quindici anni.
LA STORIA DEGLI INVESTIMENTI AZIONARI
Il passato non dà certezze per il futuro, ma nel mondo della finanza la storia dimostra che un investimento con una durata media di almeno 5-7 anni, meglio 10, gestito da un investitore professionale garantisce sicuramente la copertura dall’inflazione. Questo è l’obiettivo minimo comune a tutti gli investitori, anche se ognuno ha diverse esigenze di vita. Statisticamente su un periodo lungo l’investimento azionario porta buoni risultati. In base alla durata dell’investimento cambia ovviamente anche la composizione del portafoglio.
I SOLDI DEVONO SEGUIRE UN PERCORSO VIRTUOSO
Ma qual è la percentuale giusta di azioni da detenere? Negli Usa, che come tutti i Paesi anglosassoni sono più avanti rispetto all’Italia in tema di cultura finanziaria, vige una regola: la percentuale azionaria nel portafoglio deve essere pari a 110 – l’età dell’investitore. Questo sempre per gli investimenti di medio-lungo periodo, perché nel breve la Borsa sale e scende. Il 2021 è stato un anno straordinario per gli investimenti azionari e il 2022 è partito in controtendenza, come è naturale che sia.
Per questo investire in azioni con un orizzonte temporale di un anno è sbagliato, perché c’è il forte rischio di perdere denaro: e i soldi in Borsa non si devono perdere, ma devono seguire un percorso virtuoso di crescita.
Ecco perché è importante affidarsi a un professionista del settore, che saprà suggerire al cliente gli strumenti più corretti per realizzare i suoi obiettivi nei tempi giusti.
Questo articolo fa parte di una rubrica di Wall Street Italia dedicata ai consulenti finanziari che vogliono raccontare le loro esperienze e iniziative professionali. Se siete interessati a pubblicare una vostra storia scriveteci a: social.brown@triboo.it
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