Il governo italiano sta tentando di trovare una soluzione alla regolarizzazione del contante (e di altri valori al portatore, come gioielli, opere d’arte, metalli preziosi, valute estere, ecc.) che, secondo la nuova versione della Voluntary disclosure, richiede di seguire un complesso iter operativo nonché il versamento di imposte piene.
Nello specifico, come osserva l’avvocato Fabio Ciani, l’art. 5-octies, co. 3, D.L. 167/1990 presume, salvo prova contraria (spesso quasi diabolica), che detti asset derivino da redditi conseguiti in quote costanti nell’anno 2015 e nei quattro periodi d’imposta precedenti.
Si legge nella norma che essi “siano derivati da redditi conseguiti, in quote costanti, a seguito di violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’IRAP e dell’IVA, nonché di violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti di imposta, commesse nell’anno 2015 e nei quattro periodi d’imposta precedenti”.
La presunzione, osserva Ciani, “è tanto forte che, come affermato dall’Agenzia delle Entrate nel paragrafo 2.3 della circolare 19/E del 12 giugno 2017, se il valori si trovano in Italia (e dunque si richiede la presentazione della Voluntary Disclosure nazionale), ‘la procedura … non può essere utilizzata per ottenere una certificazione circa l’irrilevanza fiscale delle disponibilità detenute fuori dal circuito degli intermediari finanziari'”.
Ne consegue che “o si fornisce la prova contraria, oppure i valori emersi sono considerati frutto di evasione. E se il contante è detenuto nei paradisi fiscali si applica la disposizione che stabilisce il raddoppio dei termini di decadenza dall’accertamento e il raddoppio delle sanzioni”.
Viene inoltre richiesto di seguire una procedura che prevede il rilascio, unitamente all’istanza di collaborazione, di una dichiarazione circa l’origine dei valori (si veda il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 30/12/2016, n. 233984): la natura – ricorda Ciani – deve essere correlata a reati esclusivamente di natura tributaria (si deve dunque attestare che l’origine dei valori non derivi da condotte criminose previste dalla legge) e “il rilascio di attestazioni non veritiere è sanzionata con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni“.
In più, aggiunge il legale, l’apertura delle cassette di sicurezza o di altri contenitori “deve avvenire alla presenza di un notaio (in caso di “notaio” estero si rinvia alla circolare 31/E/2015, dovendo avere riguardo alla normativa del Paese) che redigerà apposito verbale”; infine, “i valori rinvenuti verranno versati in un rapporto vincolato, fino alla conclusione della procedura (31 dicembre 2018), presso l’intermediario presso cui erano depositati (se si tratta di Paese “collaborativo”; diversamente occorrerà trasferire il tutto presso un intermediario domestico ovvero localizzato in un Paese collaborativo. Per gli altri valori – diversi dal denaro contante – si dovrà accendere un contratto di amministrazione fiduciaria”.
In definitiva, conclude Ciani, “il costo dell’emersione è esorbitante (il costo della regolarizzazione ben potrebbe superare il valore stesso degli asset) e la procedura macchinosa come pure lacunosa su alcuni temi importanti; ad esempio: è necessario redigere una perizia per gioielli, opere d’arte? È necessario tracciare gli accessi alle cassette detenute all’estero? Come identificare il notaio negli ordinamenti esteri? Quali effetti ci saranno in dogana per via dell’importazione di gioielli, opere d’arte, ecc. provenienti dall’estero?”
Per questo motivo si sta valutando la possibilità di consentire la regolarizzazione del contante con un pagamento a forfait che, però, potrebbe non trovare favore presso l’Unione Europea. Inoltre, puntualizza l’avvocato, “c’è il concreto rischio che la Voluntary Disclosure venga utilizzata per ripulire il denaro sporco, in barba alle disposizioni antiriciclaggio. Dall’altro lato, la regolarizzazione consentirebbe la messa in circolazione di ingenti somme di denaro che, secondo il Procuratore capo della Repubblica di Milano, Francesco Greco, potrebbe oscillare tra i 150 e i 200 miliardi di euro, parlando del solo denaro contante”.
Si tratta di un scelta difficile visti i pericoli di ripulire il denaro sporco. Però alla fine “qualcosa andrà deciso, perché altrimenti si rischia il fallimento di questa procedura”.
Per concludere l’avvocato cita una frase attribuita a Theodore Roosevelt: “Quando devi decidere, la migliore scelta che puoi fare è quella giusta, la seconda migliore è quella sbagliata, la peggiore di tutte è non decidere”.